Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha firmato il ddl del governo sul lavoro e ha rimandato il testo alle Camere. "Il Capo dello Stato è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale". "Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinchè gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale". E' quanto si legge nella nota diffusa ieri dal Quirinale.
Già a metà marzo erano trapelate notizie sulla contrarietà del Colle al provvedimento, che a detta di molti aggira le tutele dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e indebolisce il diritto dei lavoratori ad essere tutelati dalla giustizia nelle controversie di lavoro. La parte che desta più perplessità del ddl è proprio la norma che, in deroga ai contratti collettivi nazionali e modificando il codice di procedura civile, consente il ricorso all'arbitrato invece che al giudice nelle controversie di lavoro, e prevede al momento dell'assunzione che il lavoratore rinunci a rivolgersi a un giudice in eventuali conflitti futuri tra lui e l'azienda che lo sta assumendo. Una norma che non solo indebolisce il lavoratore nel rapporto con l'azienda, ma che a parere dei tecnici è incostituzionale nel violare un diritto fondamentale della Carta (art.24), secondo il quale "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi". Rilievi di incostituzionalità si ravvisano anche nell'esclusione dei sindacati dalle "valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro" e nella riduzione del ruolo del giudice a un controllo meramente formale sul "presupposto di legittimità" delle clausole generali e dei provvedimenti delle aziende.
La reazione del governo
"Il capo dello Stato chiede un ulteriore approfondimento da parte del Parlamento, che ci sarà". A dirlo è il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, commentando al Tg1 la decisione del Quirinale di rinviare alla Camere il ddl lavoro. "Il governo proporrà alcune modifiche che mantengano in ogni caso un istituto (arbitrato, ndr) che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato", ha poi voluto precisare Sacconi. "È suo potere, non ho nulla da eccepire". Così il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, commenta a SkyTg24 il rinvio. "È il problema dei cosiddetti decreti omnibus", ha aggiunto, dove finiscono molte norme che spesso non hanno nulla a che vedere con il provvedimento originario e su questi decreti "il presidente della Repubblica ha sempre mostrato sensibilità".
Cgil: accolte nostre critiche
"La Cgil esprime soddisfazione e apprezzamento per la decisione del Quirinale". E' quanto afferma il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. "E' una decisione - prosegue - che conferma le considerazioni della Cgil sugli aspetti critici del provvedimento. È di tutta evidenza l'intempestività di una dichiarazione comune su una legge - conclude Epifani - nemmeno ancora promulgata né pubblicata sulla Gazzetta ufficiale". "Le decisioni del presidente della Repubblica devono essere accettate e rispettate da tutti, anche se non piacciono, come ha sempre fatto la Cgil. Invitiamo quindi oggi a non far partire il solito balletto di polemiche". Così oggi a Montesilvano (Pescara) durante il congresso della Fillea, il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni ha commentato in diretta, davanti a circa 700 delegati, la notizia sulla decisione del capo dello Stato, Fammoni ha ricordato che la Cgil è stata accusata di avere tirato per la giacca il presidente. "Non l'abbiamo mai fatto - ha precisato -, casomai la vera forzatura è stata l'avviso comune che è stato fatto firmare agli altri sindacati prima ancora che la legge fosse promulgata". Infine, Fammoni ha sottolineato che la Cgil riprenderà la propria iniziativa con l'obiettivo di modificare il testo di legge, "giudicato dagli stessi uffici del presidente Napolitano incongruente per la sue eterogeneità, complessità e problematicità, soprattutto in relazione al rapporto tra legislazione, contrattazione e forme di conciliazione e arbitrato".