Venti miliardi nel 2012, altri venticinque e mezzo nel 2013. Per arrivare al pareggio di bilancio un anno prima del previsto, servirà uno sforzo aggiuntivo di 45,5 miliardi di euro. Che, naturalmente, si somma alle misure già decise tre settimane fa. Calcolando anche queste, la correzione dei conti sale a 25,5 miliardi nel 2012, a 49,5 nel 2013, più i 20 del 2014. Ed essendo composta da misure quasi tutte di carattere permanente, la cifra complessiva è astronomica: 195 miliardi di euro in tre anni, senza contare che parte del decreto avrà effetto anche sui conti pubblici di quest'anno. Questo è dunque il peso dei provvedimenti che il Governo intende adottare, a prescindere dalle eventuali modifiche che potranno scaturire dal Parlamento ma che, come è noto, non dovrebbero incidere sull'entità complessiva della manovra. Ma vediamo nel dettaglio quali sono i provvedimenti previsti dal Decreto 12 agosto 2011 (Preleva il testo in formato pdf):
Licenziamenti più facili ma sempre concordati - La maggiore flessibilità del mercato del lavoro è tra le priorità del governo, fortemente sollecitato ad una rapida riforma anche dalla Banca Centrale Europea. La manovra aggiuntiva fissa una norma basilare che prevede la piena autonomia delle parti (imprese e sindacati) di procedere alla stipula di norme pattizie per la regolazione dell’attività aziendale, senza alcun intervento del legislatore. Come, invece, aveva fatto balenare il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Imprese e sindacati, in pratica, negli accordi di tipo aziendale potranno pianificare possibili deroghe estendendole erga omnes. Non è escluso il licenziamento che potrebbe essere accompagnato da agevolazioni di vario tipo. Si tratterebbe comunque di deroghe applicabili esclusivamente nelle aziende che superano i quindici dipendenti. Nella sostanza, si apre la possibilità di un superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che prevede che il licenziamento è valido soltanto se avviene per giusta causa o giustificato motivo. Non è più prevista la delega per lo Statuto dei lavori. Da sottolineare che nel 2002 il governo Berlusconi tentò di modificare per legge l’articolo principe dello Statuto dei lavoratori incontrando però fu costretto alla retromarcia dalla fiera opposizione del sindacato. Adesso il superamento della norma viene delegato alle parti che potranno anche stabilire «coperture» alternative, e di vario tipo, per i dipendenti che venissero considerati in esubero. Le deroghe pattizie, evidentemente, potranno riguardare anche le attività aziendali (per esempio, il sistema dei turni, degli avanzamenti di carriera, del salario accessorio). Sempre ed esclusivamente decise in base ad intese tra aziende e sindacati. Casi emblematici sono gli accordi stipulati dalla Fiat con una parte del sindacato negli stabilimenti di Pomigliano, Mirafiori ed ex Bertone. Possibile che il nuovo assetto studiato dal governo possa trovare un riscontro positivo nella Cisl, nella Uil e nell’Ugl. Difficile, praticamente impossibile, che trovi invece accoglimento nella Cgil di Susanna Camusso che da sempre è contraria a qualsiasi modifica allo Statuto dei lavoratori.
Privatizzazioni dei servizi pubblici territoriali - Nella manovra c’è «un meccanismo efficace di privatizzazione dei servizi locali e una normativa efficace sulle municipalizzate», dice Giulio Tremonti che presenta le nuove misure nella sala stampa di palazzo Chigi. Inoltre, aggiunge, ci sono norme per la «semplificazione e le liberalizzazioni» che anticipano la riforma dell’articolo 41 della Costituzione. In attesa che possa diventare realtà la modifica costituzionale, e ci vorrà tempo, il governo punta dunque ad ottenere risultati concreti «anche a legislazione vigente». Per le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali il governo vuole andare avanti e colmare il vuoto lasciato aperto dal referendum che ha abrogato la norma sulla privatizzazione dei servizi, vietando l’affidamento in house e obbligando gli enti locali a metterli a gara. Ora, fatto salvo il settore dell’acqua sul quale i cittadini italiani si sono pronunciati in modo inequivocabile, si tratta di fissare le regole che consentano ai Comuni e alle Regioni che lo vorranno di aprire, per l’appunto, ai privati. E per invogliarli, ha spiegato Tremonti, è previsto un meccanismo di premi e penalizzazioni, cosicché siano spinti a sbloccare la situazione. I settori interessati sono ampi e importanti: trasporti, energia, rifiuti, servizi cimiteriali. Privatizzare i servizi non significa necessariamente aprire il capitale delle municipalizzate ai privati. Ma anche su questo punto la manovra spinge gli enti locali, che si troveranno in una morsa per il taglio dei trasferimenti e per i maggiori risparmi imposti dall’anticipo del pareggio di bilancio, a accelerare sulle cessioni almeno parziali del capitale. Il risultato sarà, negli obiettivi del governo, una forte spinta alla crescita. Il resto verrà dalle semplificazioni all’avvio dell’attività privata e dalla liberalizzazione che riguarderà le attività professionali. Per ora non saranno toccate le professioni per le quali la Costituzione prevede esami di Stato di accesso, ma Tremonti ha annunciato una forte spinta verso la liberalizzazione di tutte le altre.
Enti locali e ministeri ecco tagli da 12 miliardi - Ancora una stretta per gli enti locali e per i ministeri. Governatori infuriati e sindaci sul piede di guerra. La manovra anticipa i tagli di un anno. Si scaricano così su Regioni e Comuni altri 9,5 miliardi di tagli nel biennio, 6 nel 2012 e 3,5 nel 2013 che si aggiungono ai 4,5 miliardi già decisi sul 2011. Anche i ministeri daranno il loro contributo con un taglio di 6 miliardi nel 2012 e 2,5 miliardi nel 2013. Non saranno però toccati sanità, istruzione, ricerca, cultura e 5 per mille. In tutto le amministrazioni, centrali e locali, subiranno una stretta superiore ai 12 miliardi nel 2012 con la nuova manovra. Scendendo più nel dettaglio, il ministro Tremonti ha spiegato che per i ministeri è stato dunque previsto 1 miliardo in più di risparmi rispetto ai 5 della manovra di luglio. Ma ha anche aggiunto che potrebbe non essere necessario se la Robin Tax, introdotta a suo tempo sulle società energetiche e che sarà inasprita del 4% ed estesa a tutti i produttori anche quelli delle rinnovabili oltre ai distributori come Terna e Snam, darà buoni frutti perché andranno a compensare la spesa dei ministeri. La nuova Robin Tax riguarderà redditi d’impresa sopra 10 milioni l’anno, quindi sono esclusi i piccoli produttori. Rimane il nodo degli enti locali su cui grava il 60% dell’assistenza sociale in Italia. Per questo gli amministratori locali hanno lanciato l’allarme sui nuovi tagli che si sommano ai precedenti. Una situazione dunque particolarmente difficile. Il patto di stabilità che impone un tetto rigido di spesa alle regioni, anche a quelle virtuose. Tanto che il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni ha segnalato il paradosso di avere a disposizione 4 miliardi ma di non poterli spendere se non sarà cambiata la norma sul patto interno. Quest’ultimo lascia più ossigeno ai Comuni essendo parametrato sui saldi di bilancio. Per questa ragione Formigoni ha anche sollevato la polemica sul federalismo fiscale in quanto rischia, a suo giudizio, di non poter essere attuabile . L’anticipo dei costi standard potrebbe dare sollievo ma richiede un periodo di attuazione. Senza una modifica, dicono le regioni, si rischia l’asfissia.
Statali, congelato per 2 anni il Tfr. Tredicesima a rischio se l’ente sfora - La Bce aveva raccomandato il taglio dello stipendio per i dipendenti pubblici. Tremonti aveva già detto l’altro giorno nell’informativa al Parlamento che questa indicazione difficilmente sarebbe stata seguita dal governo. Ma la scure della manovra colpirà comunque i circa tre milioni e mezzo di pubblici dipendenti con altre due misure: il ritardato pagamento di due anni dell’indennità di fine rapporto; la tredicesima legata al raggiungimento degli obiettivi di riduzione della spesa del proprio comparto. La prima misura riguarda, naturalmente, chi lascia il lavoro. Attualmente il pubblico dipendente che va in pensione per vecchiaia o per raggiungimento dell’anzianità massima di servizio, riceve dall’Inpdap la cosiddetta liquidazione dopo circa tre mesi e mezzo dall’uscita. Negli altri casi tra i sei e i nove mesi dopo. Dal 31 maggio del 2010 l’indennità già viene corrisposta in più rate: la prima per l’importo lordo fino a 90.000 euro; la seconda, per la cifra compresa tra 90 e 150.000 euro dopo ulteriori 12 mesi; la quota superiore ai 150.000 euro viene corrisposta dopo due anni. La norma appena varata ritarda tutto di due anni. Il bilancio preventivo dell’Inpadp prevedeva una spesa per il 2011 di circa sette miliardi di euro. Una parte, ora, andrà a ricadere sui conti del 2014, ovvero dopo il raggiungimento del previsto close to balance. C’è poi il capitolo tredicesime: salteranno se non si raggiungono gli obiettivi di riduzione della spesa del proprio comparto. Obiettivi che, la stessa manovra, inasprisce. La norma, di fatto, invita tutti a fare un lavoro di squadra. Il rischio altrimenti è quello di stringere la cinghia a ridosso delle festività natalizie. La manovra autorizza anche «l’assunzione a tempo indeterminato di 30.300 unità di personale docente ed educativo e di 36.000 unità di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario». Il Consiglio dei ministri in una nota precisa che ci sarà anche una «finestra per i pensionamenti nella scuola». Inoltre, «per far fronte alle esigenze della scuola, nell’imminenza dell’avvio del nuovo anno scolastico, su proposta dei Ministri Brunetta e Tremonti, è stato approvato un decreto presidenziale che autorizza per il solo anno 2011-2012 il trattenimento in servizio di 414 dirigenti scolastici».Dopo le forti polemiche dei giorni scorsi bisognerà ora vedere come i sindacati, Cisl in testa, giudicheranno le misure sugli statali. In più di una occasione proprio Raffaele Bonanni si è detto contrario ad un intervento del genere. Anche la Cigl ha ammonito il governo a non colpire le fasce più deboli, ovvero i dipendenti pubblici, che hanno già dovuto sopportare numerosi sacrifici in passato.
Donne in pensione più tardi ma solo dal 2016 - Sarà un miliardo di euro il contributo che arriverà nel 2012 alla manovra dal fronte pensioni. Ma non da quelle di vecchiaia delle donne del settore privato, che fino al 2015 non vedranno nessuna modifica rispetto a quanto già previsto. Il lungo braccio di ferro con Bossi ha comportato, quindi, un intervento decisamente ridotto rispetto alle intenzioni iniziali. Anche le pensioni d’anzianità, per le quali si era addirittura ventilato il blocco totale per alcuni anni, saranno solo sfiorate. Con una norma minima che riguarda il pensionamento delle sole pensioni d’anzianità nel settore pubblico: per disincentivarle sarà introdotto un ritardato pagamento del Tfr; verrà estesa anche al settore scuola - che attualmente usufruiva di una deroga - la finestra unica, che di fatto consente di andare in pensione 13 mesi dopo il raggiungimento dei requisiti. Sarà il combinato disposto di queste due misure che - secondo i calcoli del governo - consentirà il risparmio di un miliardo di euro nel 2012. La linea Bossi vince anche sull’anticipo di un anno della cosiddetta «quota 97» (36 di contributi + 61 anni di età) per le pensioni d’anzianità dei dipendenti privati e quota 98 (36 +62) per gli autonomi. Era nella bozza di manovra entrata in Consiglio dei Ministri. Ma non è passata. Resta quindi fissata al 2013. E nulla di fatto, nell’immediato, per l’accelerazione dell’innalzamento dell’età di vecchia per le donne nel settore privato (quelle del pubblico già sono state equiparate). L’adeguamento a quanto previsto per i colleghi maschi (dai 60 ai 65 anni) ci sarà. Ma l’inizio del percorso di riavvicinamento avverrà a partire dal 2016. Il percorso finirà nel 2026, l’età per la vecchiaia crescerà in ragione di sei mesi ogni anno. Rispetto a quanto già previsto nella manovra di luglio si tratta comunque di un’accelerazione, visto che il progressivo innalzamento dell’età iniziava dal 2020. A regime il risparmio sarà notevole: 13 miliardi di euro. Dovendo aspettare il 2015 naturalmente non ci sarà gettito immediato.
Niente ponti festivi per migliorare la produttività - Sarà praticamente impossibile, comunque arduo, costruire ponti festivi più o meno lunghi. L’esecutivo ha deciso di accorpare alle domenica le festività laiche, cioè l’1 gennaio, il 25 aprile, l’1 maggio, il 2 giugno. L’Italia diventa il primo Paese al mondo privo di feste non religiose. Un accorpamento che, alla fine dell’anno, dovrebbe far aumentare la produttività di 15 miliardi. Dunque, un punto di Pil. E dire che già oggi l’Italia non primeggia in fatto di festività: in tutto sono 13. Nella iperproduttiva Germania, ad esempio, si fermano 16 giorni l’anno e in Giappone addirittura 18. E 6 di questi giorni, nel maggio del Sol levante, sono addirittura consecutivi. Ad ogni modo, comunque, in Europa il Belpaese è sotto media di 1,5 giorni in fatto di festività laiche. E quasi ovunque, nel vecchio continente, non si mordono le mani se la festa dei lavoratori o quella della liberazione cade di domenica perché in quelle odiose circostanze lo Stato concede un provvidenziale recupero nel corso dell’anno. La smania abrogazionista, o accorpativista, fate voi, di Tremonti, non è un fatto nuovo. Anche se l’ultima robusta sforbiciata risale ormai al 1977. Insieme alle feste religiose di San Giuseppe (19 marzo) e dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno), cadde sotto la scure del governo di solidarietà nazionale guidato da Andreotti la festa del 4 novembre. In sostituzione delle tre ex festività i lavoratori usufruiscono tuttora di 4 gruppi di 8 ore di permessi individuali retribuiti. La festa dell’Epifania, trasferita alla domenica successiva nel 1977, è stata ripristinata il 6 gennaio nel 1986. Mentre la festa dell’anniversario della Repubblica, spostata nel 1977 alla prima domenica di giugno, è stata ripristinata il 2 giugno del 2001 per volere dell’ex presidente Ciampi. In occasione della recente festa del 17 marzo per i 150 anni dell’Unità d’Italia, Confindustria ripropose il problema del calo della produttività. E gli industriali del Veneto parlarono addirittura di un danno di 200 milioni per le aziende.
In arrivo una maxi-stangata sulle sigarette - Ci saranno nuove tasse sui tabacchi e sui giochi. Per quanto riguarda le sigarette c’era da aspettarselo. L’ultimo che ha proposto di rifarsi sulle sigarette pur di non veder applicato il ticket sulla Sanità è stato Umberto Bossi, pochi giorni fa. E già il suo pronunciamento ha sollevato un putiferio da parte della Federazione dei tabaccai, i quali non ci vogliono stare a far la parte delle vittime designate ogni qualvolta c’è un aumento delle tasse. Tra l’altro, i tabaccai, già evidentemente persuasi del fatto che non sarebbero scampati alla manovra tremontiana, hanno fatto un po’ i conti a casa loro in base a personalissime tabelle e sono arrivati alla conclusione che l’aumento del pacchetto di sigarette potrebbe essere anche di 2 euro. «Se ci fosse davvero un simile aumento sarebbe la disfatta assoluta per la categoria», dicono i tabaccai e aggiungono: «Nei Paesi dove si è scelta la via dell’aumento sconsiderato dei prezzi dei tabacchi lavorati, l’unico risultato ottenuto è stato l’aumento del contrabbando a livelli pari ad oltre il 30 per cento del mercato illegale». In particolare è stata la Lega Nord a segnalarsi come strenua sostenitrice dell’aumento delle tasse sui tabacchi. A parte Bossi, anche il ministro Calderoli si è ultimamente lasciato andare a qualche considerazione che qui è utile riportare. Ha detto Calderoli, quando ancora non si parlava del varo della supermanovra, che il Governo non avrebbe mai lasciato cadere l’idea dell’aumento delle tasse sui tabacchi. Anzi, lui stesso si è spinto a fissare il limite dell’accisa: «Dovrebbe - ha detto - essere alzata al 64 per cento, così come già avvenuto in Francia». Per il ministro, l’innalzamento comporterebbe una riduzione del 20 per cento dei consumi, positivo sotto il profilo della salute. La scure fiscale si abbatterà anche sui giochi: chissà come verranno tassati i due giochi il cui arrivo è stato dato per imminente, e cioè il cosiddetto Bingo a distanza e il Super Enalotto europeo. Il Bingo è giocato in Italia da oltre un milione di persone, le quali frequentano le sale Bingo in maniera sistematica. Tanto per avere un utile metro di confronto, nel 2006, anno in cui fu fatto un sicuro rilevamento statistico, emerse che il Bingo incassò circa 1,8 miliardi di euro e furono vendute oltre 1,6 miliardi di cartelle, di cui circa il 65 per cento del valore di 1 euro.
Prelievo del 5% oltre i 90 mila euro sopra i 150 mila diventa del 10% - Più tasse per raggiungere il pareggio di bilancio con un anno d’anticipo. E più rigore nella lotta all’evasione. Arriva l’eurotassa che imporrà un contributo aggiuntivo del 5% sui redditi che superano i 90.000 euro e del 10% sopra la soglia dei 150.000 euro. Si pagherà per due anni, nel 2012 e nel 2013. Per quanto possa sembrare pesante l’eurotassa a chi dovrà pagarla, si tratta comunque di una platea molto ristretta di contribuenti. In Italia, infatti, appena l’1% dei 41 milioni di contribuenti dichiara redditi oltre i 100.000 euro. E si tratta prevalentemente di lavoratori dipendenti. Saranno quindi loro, i dipendenti pubblici e privati, a farsi carico maggiormente del contributo di solidarietà chiesto dal governo Berlusconi. La norma sugli autonomi si giustifica in base al fatto che dichiarano mediamente redditi più bassi dei dipendenti
Rendite finanziarie tassate al 20%, Bot salvi. Stretta sull’evasione - Sale poi dal 12,5% al 20% la tassazione sulle rendite finanziarie, esclusi Bot, Cct e Btp che rimangono fermi all’aliquota attuale. E scende dal 27 al 20 per cento, come promesso, l’aliquota sugli interessi legati a conti correnti bancari e bancoposta. Si salvano i titoli pubblici dall’aumento del prelievo sulle rendite finanziarie ma, solo se chi li ha acquistati li conserverà fino alla scadenza. Se invece deciderà di venderli, e quindi porterà a termine un’operazione speculativa, allora dovrà versare l’aliquota maggiorata del 20% sul rendimento dell’operazione. Infine, l’anticipo al 2011 della delega su assistenza e fisco, che sarà dunque esercitata quest’anno per entrare in funzione nel 2012, secondo i calcoli del governo dovrebbe portare 4 miliardi di maggiori risparmi sull’invalidità necessari per realizzare la riforma del fisco, basata sulla revisione della giungla delle agevolazioni. Il pacchetto di misure che riguarda le entrate include anche «sanzioni forti» a carico di chi non rilascia la ricevuta o non consegna lo scontrino fiscale o la fattura: commerciante o artigiano o libero professionista rischierà la chiusura dell’attività o, anche, ha aggiunto il ministro dell’Economia nel presentare le misure, la cancellazione dall’ordine professionale. Prevista anche la rimodulazione degli studi di settore. Insomma, ci sarà una stretta sull’evasione fiscale chiesta a gran voce da Confindustria, sindacati e dall’opposizione come una condicio sine qua non per accettare tagli e sacrifici. In questo contesto si inserisce anche la tracciabilità dei pagamenti e infatti la manovra prevede un abbassamento da 5.000 a 2.500 euro della soglia oltre la quale va motivato l’utilizzo di pagamenti in contanti.
Via province sotto 300 mila abitanti. Salve le quattro province abruzzesi (le 36 province che rischiano di essere cancellate - guarda) - E' prevista la soppressione delle Provincie sotto i 300.000 abitanti, ma solo dopo il prossimo censimento. I capoluoghi interessanti dal provvedimento, stando a una verifica informale, sarebbero i seguenti: Ascoli Piceno, Asti, Belluno, Benevento, Biella, Caltanissetta, Campobasso, Carbonia-Iglesias, Crotone, Enna, Fermo, Gorizia, Grosseto, Imperia, Isernia, La Spezia, Lodi, Massa Carrara, Matera, Medio Campidano, Nuoro, Ogliastra, Olbia Tempio, Oristano, Piacenza, Pistoia, Prato, Rieti, Rovigo, Savona, Siena, Sondrio, Terni, Trieste, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Vibo Valentia. Resta da capire la sorte di Aosta, provincia con meno di 300 mila abitanti ma di una regione a Statuto speciale. In Abruzzo se la caveranno tutte e quattro, chi senza problemi chi per il rotto della cuffia ma se la caveranno, a meno non spunti un censimento che certifichi un crollo improvviso degli abitanti: le quattro Province abruzzesi resisteranno allo tsunami che si appresta a travolgere gli enti diventati il simbolo visibile dei maxi-costi inutili della politica, in un Paese con l’acqua alla gola in cui ai cittadini vengono imposti sacrifici a getto continuo. Via le Province, urla il Paese, via le Province ma con calma, risponde il Governo Berlusconi presentando la manovra con cui spera di portare l’Italia fuori dalla bufera della crisi: e con calma vuol dire via solo le Province cui è affidata la gestione di una popolazione inferiore alle trecentomila unità. Ci credereste? Il nostro piccolo Abruzzo ha i suoi abitanti distribuiti in modo tale da consentire di tenere in vita ogni singola Provincia, utile o meno che sia. I dati Istat al 1. gennaio 2010 parlano chiaro: Chieti, la più grande, sfiora i quattrocentomila residenti ed è abbondantemente al sicuro a quota 396.852, Pescara segue a 321.192, poi c’è Teramo a 311.590 e qui già siamo a rischio, infine L’Aquila di un soffio al di qua della soglia del baratro con 309.264. Salve. Salve tutte e quattro.