Data: 12/07/2006
Settore:
Politica interna
AL GRAN BALLO DELLE NOMINE. L'inchiesta del settimanale L'Espresso curata da Stefano Livadiotti sugli effetti dello spoil system per Anas, Alitalia e Ferrovie

Il dossier, riservatissimo, è da qualche giorno sul tavolo di Carlo Malinconico. L'ufficio del nuovo segretario generale di palazzo Chigi dovrà esercitarsi in un'interpretazione della legge Frattini sullo spoils system. Romano Prodi vuole sapere se si può applicare alle nomine fatte in zona Cesarini dal governo di Silvio Berlusconi. Nel mirino c'è una dozzina di poltrone tra Enav e Grtn. Alla società per l'assistenza al volo rischia di fare le valigie un navigatore di lungo corso come Guido Pugliesi (un tempo con An, oggi sotto l'ala di Pier Ferdinando Casini, e domani chissà), passato negli anni dalle telecomunicazioni alle assicurazioni, dalla sanità al trasporto aereo. All'ente gestore della rete elettrica è in bilico Carlo Andrea Bollino, l'uomo del blackout che lasciò l'Italia al buio il 28 settembre del 2003.

Nella grande partita che secondo i calcoli del 'Sole 24 Ore' dovrebbe portare nelle prossime settimane all'insediamento di un centinaio di nuovi manager pubblici potrebbero dunque rientrare anche incarichi formalmente già assegnati. A gestire tutta l'operazione è un terzetto che lavora molto sott'acqua. Il primo dei king maker è l'imprenditore (ramo catering) Angelo Rovati, detto l'Angelo Custode, un gigante che ha giocato nella Nazionale di basket e vanta una trentennale amicizia con Prodi, al quale ha curato il fund raising. Nell'entourage prodiano Rovati rappresenta l'ala più orientata al rinnovamento, quella che ha sostenuto Antonello Perricone per la direzione generale della Rai e che è stata sconfitta, con Claudio Cappon, dal cosiddetto 'partito dell'usato sicuro', che ha il suo capofila nel sottosegretario alla Presidenza Francesco Micheli, manager di scuola Iri.

Al fianco di Rovati, nel triumvirato ci sono il rutelliano doc Renzo Lusetti e Maurizio Migliavacca, plenipotenziario di Piero Fassino. I tre, con i quali si tiene in contatto il colonnello dalemiano Nicola Latorre, non hanno una sede di incontro istituzionale. Di più: non si sono mai riuniti. In genere procedono per consultazioni bilaterali, com'è accaduto per le riconferme di Maurizio Prato in Fintecna e di Giuseppe Bono in Fincantieri. Qualche volta, però, Rovati fa tutto da solo. È successo quando è stato scelto Pierpaolo Dominedò per Patrimonio dello Stato. Davanti alle proteste degli altri, Rovati ha allargato le possenti braccia: "Così ha deciso Padoa-Schioppa".

In questi giorni il terzetto è sotto assedio: man mano che il gioco entra nel vivo, cresce l'agitazione tra i boiardi alla ricerca di una ricollocazione politica. Il più trafelato dei questuanti, secondo le voci di corridoio, è Luigi Roth. Appoggiatissimo dal Vaticano (è Gentiluomo di papa Benedetto XVI e Cavaliere di Grazia Magistrale in obbedienza del Sovrano Ordine di Malta), il capo di Terna (nonché presidente del collegio commissariale della Fondazione della Fiera di Milano e numero due della Cassa Depositi e Prestiti) non rischia il posto, perché la sua azienda non rientra nello spoils system. Semplicemente, vuole di più. Fa un pressing asfissiante, girando come una trottola in tutti i salotti romani, anche l'ex Fiat Roberto Testore, che sente traballare la sua poltrona di amministratore delegato di Trenitalia. Pochi gli danno retta, come del resto accade al martellante Bollino. E molto in ansia viene segnalato anche il consigliere Fininvest e presidente dell'Eni, Roberto Poli. Il cambio della guardia al vertice dell'ente petrolifero non è all'ordine del giorno per il 2006 (e il discorso vale anche per Enel, Finmeccanica e Cassa Depositi e Prestiti), ma Poli s'è premurato di far sapere a Prodi & C. che non sente Berlusconi da mesi. Le grandi manovre, insomma, sono in pieno svolgimento. Ecco come stanno le cose, azienda per azienda.

La cambiale Catania Per le Fs, almeno in teoria, l'accordo c'è, sia pure con qualche mugugno della Margherita. Prevede il nome di Mauro Moretti, considerato il miglior conoscitore della macchina ferroviaria, nella casella di amministratore della holding. Ad affiancare l'ex sindacalista della Cgil dovrebbe essere Paolo Baratta, ex banchiere e poi ministro nei governi Amato, Ciampi e Dini, legatisssimo a Padoa- Schioppa, di cui è stato compagno di studi. Alla controllata Trenitalia fuori "l'esubero Fiat" (il copyright è del perfido battutista Giulio Tremonti) Testore e dentro l'accoppiata Francesco Forlenza (capo del personale di Fs) come presidente e Giancarlo Laguzzi (oggi alla Sita) come amministratore delegato. Alla Rfi un altro interno: Michele Elia, braccio destro di Moretti.
C'è però un problema, grosso come una casa. Elio Catania, presidente e amministratore delegato in quota Forza Italia, scade ad aprile del 2007. E, come se il mezzo miliardo di perdite accumulato dall'azienda nel 2005 non fosse affar suo, per togliere il disturbo pretende una buonuscita monstre da 10 milioni tondi. La patata bollente è sul tavolo del sottosegretario all'Economia Massimo Tononi, ex uomo Goldman Sachs, già assistente di Prodi, che non è disposto ad andare oltre la metà della cifra richiesta. "Abbiamo appena aumentato le tasse sulle stock-options, non possiamo dare 10 milioni a quello", sibilano nello staff di Prodi. Ma la faccenda è complicata: a levare le deleghe a Catania, che negli ultimi dieci anni s'è candidato a qualsiasi poltrona libera, potrebbe essere solo il consiglio di amministrazione. Che però è controllato dall'opposizione. Resta dunque l'ipotesi estrema: convocare l'assemblea e sostituire i consiglieri. Oppure offrire a Catania di restare fino a scadenza sulla poltrona di presidente. Ma difficilmente Padoa-Schioppa vorrà sacrificare Baratta.

Le strade di Mengozzi Escluso un improbabile commissariamento, all'Anas le prime candidature sono saltate come birilli. Quella del dalemiano Antonio Bargone perché c'è già un ds come Moretti in corsa per le Fs. Quella di Claudio Artusi, direttore generale fino a pochi giorni fa, per l'opposizione del ministro Di Pietro. La quadratura del cerchio era stata poi trovata su Andrea Monorchio. Ma l'ex ragioniere generale dello Stato, che già aveva detto no alle Fs, ha declinato l'offerta. Così, ora i prodiani (soprattutto quelli del partito di Micheli) puntano su Francesco Mengozzi (capo del Bancoposta), che non incontrerebbe l'opposizione dei dalemiani, o sull'ex commissario Enav, Massimo Varrazzani, manager del San Paolo. Ma anche in questo caso il problema è come liberarsi dell'attuale numero uno dell'Anas, Vincenzo Pozzi. Se lui non si dimette, restano due strade: convocare il consiglio per revocarlo o riunire l'assemblea per cambiare lo statuto e introdurre la figura dell'amministratore unico.

Nel fortino di Cimoli Con la dipartita di Gaetano Gifuni, ha perso il sostegno del Quirinale. E ora il capo di Alitalia non vorrebbe dover rinunciare anche a un appannaggio da 2 milioni e 786 mila euro l'anno. Così, il supertrasversale Giancarlo Cimoli cerca di resistere. Prodi lo aveva mandato alle Fs, ma deve tenere conto dei sindacati, che chiedono la testa del presidente e amministratore delegato responsabile di un bilancio da profondo rosso. Così, mentre quella del numero uno dell'Enac ed ex parlamentare Dc Vito Riggio è solo un'autocandidatura (la Margherita non lo sostiene), continua a girare il nome di Gianni Sebastiani (ex Alitalia). E quello di Giorgio Zappa, il direttore generale di Finmeccanica, in buoni rapporti con i Ds, che non può sperare di crescere nella sua azienda, dove gli fa da tappo Pier Francesco Guarguaglini. Tra i dalemiani si parla anche di Maurizio Basile, artefice della privatizzazione di Eti, ora ad Aeroporti di Roma. Ma, davanti alla débâcle dell'ex compagnia di bandiera, il governo sa di dover tentare una mission impossible. Dalle parti della Margherita l'idea corre a Corrado Passera, oggi amministratore di Banca Intesa. Tra i prodiani al capo di Rcs, ed ex Vodafone, Vittorio Colao. Nell'entourage del premier riscuote consenso anche Carlo Callieri, ex Fiat e Confindustria, tanto tosto da meritarsi il soprannome di Ayatollah e i pubblici attestati di stima di D'Alema, mentre qualche ds rispolvera Franco Tatò. Come risarcimento, a Cimoli potrebbe restare una presidenza poco più che onoraria.

Un postino di nome Vito Il tentativo di trovare protezione sotto l'ombrello di Franco Marini, è andato buca. Il finiano Massimo Sarmi, che si vanta di trascorsi internazionali, ma ha come intercalare il romanissimo 'cazzarola', viene segnalato in uscita dalle Poste (dove Vittorio Mincato manterrà invece la presidenza). Al suo posto dovrebbe arrivare il ruvido Vito Gamberale, stimato da D'Alema ma anche da prodiani e Margherita. A meno che non prenda corpo il progetto di fondere le Poste con la Cassa Depositi e Prestiti, per far nascere un grande gruppo bancario nel quale magari sciogliere Sviluppo Italia, la cui soppressione è un pallino di Prodi. In quel caso, potrebbe esere tentato Passera.

Grilli in silenzio La tornata di nomine investe anche l'alta burocrazia ministeriale. Al vertice del ministero dell'Economia gli occhi sono puntati sul direttore generale. Vittorio Grilli è circondato. Tononi gli ha sfilato le competenze su partecipazioni e debito; la verifica dei conti pubblici e il Dpef sono stati affidati a Riccardo Faini; il ragioniere generale Mario Canzio (ben visto a Palazzo Chigi e protetto da Paolo De Ioanna, potente capo di gabinetto di Padoa-Schioppa) si tiene stretta la contabilità; il coordinamento della politica economica lo farà Fabio Gobbo. Così, qualcuno comincia a pensare che, magari in autunno, Grilli possa mollare. Ed essere sostituito da Faini.
Ai piani più bassi, Massimo Romano, silurato da Tremonti, sta per riprendere il timone dell'Agenzia delle Entrate, al posto di Raffaele Ferrara (che passerà ad altro incarico). Al ministero di Pierluigi Bersani risale Carlo Sappino, emarginato da Antonio Marzano: guiderà il Dipartimento politiche dello sviluppo (i fondi comunitari). Mentre alla Sogei, la società che gestisce l'anagrafe tributaria, fara la sua rentrée Gilberto Ricci, già con Visco. A volte ritornano


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