Egregio direttore, due fatti di cronaca di questi giorni e contestualmente di etica sono al centro dell'interesse dell'opinione pubblica e coinvolgono direttamente e indirettamente il mondo clericale e la Chiesa cattolica ai massimi livelli della sua gerarchia più in generale. Mi riferisco, in primo luogo, alla reintegrazione (fine della scomunica) del vescovo lefebvriano Williamson, più che altro noto per le sue posizioni negazioniste sull'Olocausto e sulle vittime innocenti della Shoah, destinate allo sterminio per ragioni razziali dalla criminale follia nazista. Una decisione alquanto discutibile, quella del Vaticano, sulla cui gravità le organizzazioni politiche italiane di ispirazione cattolica si sono guardate bene dall'esprimere una netta condanna o quantomeno una chiara presa di posizione. Non succede così nel resto d'Europa, ne è dimostrazione la reazione determinata di Angela Merkel, Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, al vertice del partito della Cdu (la democrazia cristiana della Germania) ma soprattutto leader di un popolo che, in quegli anni terribili, si è reso responsabile e protagonista di un simile genocidio.
Angela Merkel non ha esitato più di tanto a dichiarare la propria ferma contrarietà rispetto alle decisioni assunte dalla Chiesa, ed ha invitato lo stesso Pontefice a fornire una posizione chiara di condanna di ogni forma di negazionismo, ritenendo insufficienti i flebili chiarimenti sin qui resi pubblici dal Vaticano e dalle diverse organizzazioni dei vescovi. L'opportunismo politico tipicamente italiano e la necessità di non mettersi contro le posizioni della Chiesa, anche quando evidentemente si commettono errori innegabili, hanno invece reso possibili solo dichiarazioni generiche di circostanza che, al limite dell'omertà, eludono alla grande il merito del problema.
Diversa è invece la reazione che le stesse forze politiche hanno assunto rispetto al caso Englaro (e qui entro nell'altro fatto di cronaca e di etica). Sulla vicenda della ragazza in coma irreversibile da 17 anni e sulla quale si è pronunciata la Corte d'Appello di Milano, autorizzando la sospensione del trattamento vitale, si è alzato un polverone mediatico, nel tentativo di indurre l'opinione pubblica a credere che l'interruzione dell'alimentazione equivalga ad un omicidio e che questa triste storia corrisponda ad un tipico caso di eutanasia. Credo invece che su questa vicenda, anche da parte della stessa Chiesa, ci sarebbe bisogno solo di silenzio nel rispetto dell'immenso dramma che i familiari di Eluana stanno vivendo. Inviterei tutti, prima di aprire bocca, a riflettere su queste parole di Beppino Englaro, coraggioso papà di Eluana: «Ho perso mia figlia sedici anni fa, adesso le permetterò di morire per non continuare a subire un'indebita invasione del suo corpo e per non vivere una vita che lei stessa avrebbe reputato indegna».
Franco Rolandi E.mail