Non avremo la riedizione della vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Ma, piuttosto, un'Agenzia molto snella, operativa, squisitamente tecnica, sul modello di quella nata negli Stati Uniti durante il «New deal» rooseveltiano. E, nella cabina di guida del nuovo istituto, che prenderà forma dopo l'estate a Palazzo Chigi, ci sarà direttamente Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio annuncia in un'intervista al Mattino i contenuti principali del piano per il Mezzogiorno.
La premessa è categorica: il Sud è sempre stato fra le priorità del governo. Ma ora Berlusconi vuole accelerare. Il modello è quello del «New deal», ma non solo. Nell'intervista il premier rilancia il tema dei salari: «Sarebbe giusto agganciarli al costo della vita sul territorio». Poi, l'affondo sulle classi dirigenti meridionali che non hanno saputo utilizzare i 120 miliardi stanziati per il Sud negli ultimi anni.
Presidente Berlusconi, nei giorni scorsi il governo ha ribadito che il Sud è una priorità. Sarà ai primi posti nell'agenda del prossimo autunno?
«Il Sud è sempre stato tra le priorità del nostro governo. Non credo possa sfuggire a nessuno che il primo impegno all'inizio della legislatura è stato risolvere l'emergenza dei rifiuti a Napoli e in Campania. In poche settimane abbiamo riportato alla normalità una catastrofe non naturale provocata dalla sinistra di governo della Campania e dalla sinistra di governo nazionale. Abbiamo ripulito Napoli dalle montagne di spazzatura, abbiamo realizzato il primo termovalorizzatore - quello di Acerra - bloccato dai veti dei Verdi, abbiamo avviato infine un piano di smaltimento e recupero dei rifiuti che prevede un termovalorizzatore per ogni provincia, con utilizzo dei rifiuti come fonte di energia. Erano trent'anni che doveva essere realizzato, noi lo abbiamo fatto e abbiamo così finalmente riportato lo Stato a fare lo Stato».
Da che cosa partirete? Qualcuno teme che si possa ricostituire la vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Rientra davvero nei vostri progetti?
«No. Pensiamo ad un Istituto molto diverso anche se vorrei ricordare che la prima Cassa per il Mezzogiorno - quella di Gabriele Pescatore, grande giurista e uomo dedito al bene della Nazione che la guidò dal 1955 al 1976 - ottenne risultati straordinari: fu cancellata la malaria, furono risanati 500mila ettari di palude, si realizzarono o resero più moderni circa 30mila km di strade, a 12 milioni di persone fu portata l'acqua potabile. Fu un ventennio straordinario cui seguì, purtroppo, un periodo di degenerazione».
Negli ultimi venti anni nelle casse delle regioni del Sud sono affluite risorse davvero ingenti. Ma la resa è stata bassissima. Di chi è la colpa?
«Tra il 1998 - anno di avvio della "nuova programmazione", e il 2004 - è stata conferita al sud una massa di risorse pari a 120 miliardi di euro di spesa pubblica in conto capitale, di cui poco più di 55 miliardi di euro di spesa straordinaria. A fronte di tante risorse, le distanze fra il Centro-Nord e il Sud del paese sono rimaste inalterate; anzi l'economia meridionale è diventata, in questi anni, meno competitiva. È evidente la responsabilità delle classi dirigenti meridionali e del cattivo funzionamento del Titolo V della Costituzione. È solo con il federalismo fiscale che avremo una effettiva assunzione di responsabilità da parte delle classi dirigenti delle regioni meridionali».
Come sarà quell'Agenzia per il Sud che dovrebbe mettere a punto il piano di rilancio per quest'area del Paese? E, in particolare, sarà localizzata a Palazzo Chigi?
«Dobbiamo concepire l'intervento straordinario come un grande "New Deal rooseveltiano", come un "piano Marshall" per il Sud. Negli Stati Uniti gli squilibri territoriali furono rimossi nel periodo del new deal attraverso un'agenzia di livello federale, non dei singoli Stati: la Tennessee Valley Authority fu messa in piedi dal governo di Washington e non dal governatore del Tennessee. Anche nel nostro caso il ruolo di guida non può essere che del premier».
Quando partirà la banca per il Sud? Sarà privata o pubblica?
«Alla nuova Banca del Mezzogiorno, che vorremmo operativa sin dalla ripresa dopo la pausa estiva, sta lavorando il ministro Tremonti, che ha già reso note alcune coordinate dell'iniziativa». Il governo, come ha detto Tremonti, è convinto del fatto che "le banche che operano nel territorio ma non sono del territorio non bastano" perché "solo un ceto bancario radicato nel territorio ed espressione della classe imprenditoriale locale è in grado di effettuare una politica selettiva del credito" tale da rilanciare lo sviluppo del Mezzogiorno. Il progetto si fonderà sulla rete creditizia delle banche di Credito cooperativo, che nelle regioni del Sud sono presenti con oltre 600 sportelli che nel 2008 hanno raccolto 14,6 miliardi e ne hanno impiegati 10».
I rapporti fra governo e regioni restano molto tesi. Soprattutto a causa dei fondi Fas. Il presidente Errani sostiene che il governo ha utilizzato il Fas come un Bancomat, distogliendo risorse destinate al Sud e utilizzandoli come fondi sostitutivi di quelli ordinari. Su quali fondi può effettivamente contare il Mezzogiorno?
«I fondi non mancano, mancano i progetti in cui impiegare questi fondi. Il governo ha preferito utilizzare per servizi e attività a beneficio di tutto il Paese fondi che sarebbero rimasti ancora a lungo inutilizzati invece di introdurre nuove tasse ed alzare la pressione fiscale. Quanto al rapporto con le Regioni, siamo sempre aperti al dialogo. C'è piuttosto un atteggiamento preconcetto delle Regioni guidate dalla sinistra nei confronti del governo: è accaduto con il Piano Casa, sta accadendo con la riforma della Pubblica Amministrazione e con il piano per il Sud».
Come sono, invece, i rapporti con i parlamentari meridionali del Pdl? È completamente rientrata l'ipotesi di un partito del Sud?
«Quella del partito del Sud è stata una rappresentazione giornalistica, non un'ipotesi politica. Il rapporto del governo con i parlamentari del Sud è di piena collaborazione come con tutti i parlamentari di maggioranza, primi tra tutti quelli del Popolo della Libertà. Il Sud, poi, non mi pare sottorappresentato nel governo: circa un terzo dei suoi componenti - ministri, viceministri e sottosegretari - viene dal Sud ed è eletto al Sud».
Secondo lei quali sono le responsabilità dei cittadini del Sud per il gap che si è venuto a creare con le altre aree del Paese. E che cosa si aspetta oggi come risposta dal Mezzogiorno?
«Conosco imprenditori straordinari che hanno realizzato cose eccellenti al Sud e sono pronti a investire ancora per creare nuovi posti di lavoro. Quello che ci chiedono è un efficiente sistema di infrastrutture, un contrasto efficace alla criminalità organizzata (e non l'antimafia delle chiacchiere e della retorica) e una fiscalità di vantaggio che attiri nuovi investimenti. Sono tre obiettivi che abbiamo fatto nostri».
Lei ha annunciato un piano di rilancio decennale. Su quali settori occorre puntare? Ci saranno le gabbie salariali?
«Infrastrutture, turismo, innovazione. Tutti settori che possono creare un gran numero di posti di lavoro anche per diplomati e laureati. Quanto alle gabbie salariali, tutti condividono l'esigenza di rapportare retribuzione e costo della vita al territorio. Legare i salari ai diversi livelli del costo della vita fra Sud e Nord risponde a criteri di razionalità economica e di giustizia».
Il Ponte sullo stretto è un po' la bandiera del governo. Ma in generale, ci sono molti cantieri che non riescono a partire nonostante dispongano già di stanziamenti adeguati. Che cosa si può fare?
«Nei recenti provvedimenti anticrisi abbiamo introdotto numerose disposizioni "sblocca-cantieri" per superare la paralisi decisionale determinata dai troppi adempimenti burocratici. È un problema generale delle nostre istituzioni che rende la riforma della Costituzione una necessità sempre più pressante. Non possiamo continuare a governare con tempestività un Paese che ha istituzioni concepite in un'epoca in cui il mondo andava ad una velocità molto inferiore a quella attuale».
Una delle emergenze del Meridione resta quella della criminalità. Si continuerà a puntare sull'esercito?
«Utilizzeremo tutte le risorse a disposizione per contrastare la criminalità, comprese le forze armate. Non so quanti italiani siano consapevoli del fatto che nessun altro governo ha fronteggiato tanto incessantemente ed efficacemente la criminalità organizzata. Abbiamo il record di arresti dei latitanti più pericolosi, dei sequestri di beni, di confisca di capitali di origine criminale».
Nei giorni scorsi l'Istat ha denunciato un calo del Pil del 6%. Epifani ha detto che l'autunno sarà durissimo e si prepara ad una mobilitazione. Da dove nasce, allora, l'ottimismo del governo?
«È opinione comune tra i leader del G8, del G14, del G20 che il peggio della crisi sia passato. Lo ha detto molto bene il presidente Barak Obama affermando che "cominciamo a vedere l'inizio della fine della crisi". Le stime relative al secondo trimestre del 2009 mettono in rilievo un calo dello 0,5% del Pil rispetto al primo trimestre e del 6% rispetto a un anno fa. Se nei prossimi due trimestri non si dovessero registrare variazioni, il Pil del 2009 dovrebbe chiudere al -5,1%, mentre le nostre stime prevedevano una diminuzione del 5,2%. Il calo si è rivelato inferiore alle previsioni di molti analisti che stimavano una contrazione dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e una flessione del 6,1% su base annuale».
Quindi, i dati diffusi venerdì dall'Istat, non sono così preoccupanti?
«L'Italia sta facendo meglio del previsto, e questo viene considerato in Europa un buon segno per tutta quanta l'area euro. Inoltre tra le principali economie dell'area Ocse, Italia e Francia danno segnali di ripresa. Il "superindice" Ocse - quello che anticipa le fasi di espansione o rallentamento delle economie - ha registrato a giugno una crescita di 4,8 punti su base annua per l'Italia e di 2,7 punti per la Francia. Rispetto al mese di maggio, l'indicatore è cresciuto di 2,2 punti per il nostro Paese e di 1,4 punti per la Francia».
Insomma, continua ad essere ottimista?
«Il nostro Paese è quello che sembra andare meglio in Europa. E noi riteniamo che il dovere del governo continui ad essere quello di invitare i cittadini a non avere paura e a non cambiare il loro stile di vita e le loro abitudini di acquisto. Solo così si potrà diminuire la profondità della crisi e la sua estensione temporale. I catastrofisti che imperversano sulle gazzette della sinistra non fanno che peggiorare la situazione perché, superato il momento più drammatico della crisi finanziaria, è proprio il fattore psicologico che condiziona la domanda dei consumatori e quindi la produzione. Ancora una volta dunque forza e coraggio».