ROMA A voler tagliare il problema con l'accetta, il calcolo è presto fatto: dati Istat alla mano, ogni giorno l'Italia produce 4 miliardi di euro in termini di ricchezza. E dunque la soppressione delle quattro festività non religiose vorrebbe dire, brutalmente, 15 miliardi in più a fine anno in termini di aumento secco della produttività. Dunque, un punto di Pil. Conti opinabili, come vedremo. Ma se l'idea di Tremonti di mandare in un colpo solo in pensione 25 aprile, primo maggio, 2 giugno e primo gennaio (anche se sul Capodanno monta già la polemica perché non è mai stato ben chiarito di che razza di festa si tratti) accorpando queste ricorrenze con le domeniche andasse davvero in porto, l'Italia sarebbe il primo Paese al mondo privo di feste laiche. E dire che già oggi il Paese non primeggia in fatto di festività: in tutto sono 13. Nella iperproduttiva Germania, ad esempio, si fermano 16 giorni l'anno e in Giappone addirittura 18. E 6 di questi giorni, nel maggio del Sol levante, sono addirittura consecutivi. Ad ogni modo, comunque, in Europa il Belpaese è sotto media di 1,5 giorni in fatto di festività laiche. E quasi ovunque, nel vecchio continente, non si mordono le mani se la festa dei lavoratori o quella della liberazione cade di domenica perché in quelle odiose circostanze lo Stato concede un provvidenziale recupero nel corso dell'anno.
La smania abrogazionista, o accorpativista, fate voi, di Tremonti, non è un fatto nuovo. Anche se l'ultima robusta sforbiciata risale ormai al 1977. Insieme alle feste religiose di San Giuseppe (19 marzo) e dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno), cadde sotto la scure del governo di solidarietà nazionale guidato da Andreotti la festa del 4 novembre. In sostituzione delle tre ex festività i lavoratori usufruiscono tuttora di 4 gruppi di 8 ore di permessi individuali retribuiti. La festa dell'Epifania, trasferita alla domenica successiva nel 1977, è stata ripristinata il 6 gennaio nel 1986. Mentre la festa dell'anniversario della Repubblica, spostata nel 1977 alla prima domenica di giugno, è stata ripristinata il 2 giugno del 2001 per volere dell'ex presidente Ciampi. In occasione della recente festa del 17 marzo per i 150 anni dell'Unità d'Italia, Confindustria ripropose il problema del calo della produttività. E gli industriali del Veneto parlarono addirittura di un danno di 200 milioni per le aziende.
Uno studio ad hoc sul problema lo hanno fatto gli economisti della Voce.info. Ebbene, gli esperti osservano che «le imprese non sono passive trasformatrici di fattori produttivi in un certo ammontare di prodotto». In parole povere, di fronte alle festività, le aziende riorganizzano i cicli produttivi distribuendo il tempo non utilizzato. Cosicché un giorno di festa vuol dire appena 2,5 ore perse per ciascun lavoratore. Con un impatto minimo dello 0,1% sul Pil. Vale a dire 1,5 miliardi. E poi, chi l'ha detto che tutte le aziende tifano Tremonti? L'industria delle vacanze già si lamenta, ovviamente. «Si azzoppa un'abitudine sempre più in voga che vede molti turisti approfittare dei ponti festivi per fare vacanze brevi» osserva Cinzia Renzi, presidente della Fiavet-Confcommercio suggerendo che «sarebbe meglio prevedere un taglio dei giorni festivi spalmandolo su tutto l'anno anziché su un breve periodo».