La bufera, per il momento, è scongiurata. O almeno rinviata alla prossima settimana, quando riprenderà il confronto tra Atac e sindacati sul contratto integrativo di impiegati e meccanici. Non saranno in ogni caso toccate, assicurano dagli uffici di via Prenestina, le retribuzioni di autisti e macchinisti, che ieri hanno manifestato davanti alla sede dell'azienda, bloccando la strada per ore. L'intervento risolutivo, dopo ore di febbrile confronto, è arrivato dal sindaco Gianni Alemanno e dall'assessore alla mobilità Antonello Aurigemma, che hanno chiesto all'amministratore delegato dell'Atac, Carlo Tosti, «di valutare temporaneamente di non modificare i trattamenti esistenti, onde poter contribuire a un sereno confronto con le parti sociali».
Andiamo con ordine: nei giorni scorsi l'azienda ha comunicato ai 12 mila dipendenti che, a partire da gennaio, non verranno più applicati i contratti integrativi, risalenti a oltre 10 anni, che andranno ridiscussi. La decisione andrebbe a colpire in modo sensibile le retribuzioni di impiegati e manutentori e comporterebbe anche un aumento delle ore di lavoro settimanali - da 37 a 39 - a partire dal 10 dicembre.
Ieri, alcune centinaia di dipendenti sono scesi in strada, inscenando un sit-in spontaneo davanti alla sede centrale dell'Atac, in via Prenestina, per protestare contro la disdetta degli accordi. I lavoratori hanno bloccato il traffico nell'intera zona, fino a Porta Maggiore, spostandosi poi in via L'Aquila. Le linee di tram 5, 14 e 19 sono state sostituite da bus nella tratta Porta Maggiore-Preneste, mentre le linee di autobus 81, 412, 810 e 105 sono state deviate per largo Preneste, Portonaccio, Verano, Tiburtina.
I sindacati temono una riduzione di 350-400 euro al mese e denunciano «turni troppo faticosi per un lavoro considerato usurante in una città come Roma, e una media di 80 giorni di ferie arretrati che non è possibile godere per la carenza di personale». Alcuni di loro minacciano di «bloccare la città» se non si troverà un accordo. Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil-Trasporti e Ugl-Trasporti, sottolinea Aurigemma, «hanno manifestato forte preoccupazione per il recesso dei contratti collettivi aziendali, in una fase così delicata come quella che attualmente sta vivendo il trasporto pubblico, a tutti i livelli, a causa dei tagli imposti dalla manovra finanziaria».
Il confronto, quindi, riprenderà la prossima settimana, con l'obiettivo di trovare un accordo che non penalizzi i lavoratori, pur muovendosi tra gli stretti paletti in cui è costretta l'Atac dalla sua situazione finanziaria. «Tutti, amministrazione capitolina in testa, devono fare la propria parte - sottolinea Alemanno - affinché l'azienda del trasporto pubblico della nostra città riesca a risolvere gli attuali problemi e si rilanci, in modo da garantire il necessario servizio ai cittadini e un futuro sereno a tutti i dipendenti».
Ma la polemica politica è inevitabile: «Il prezzo della gestione dissennata dell'Atac non può essere pagato dai lavoratori e dai cittadini romani - sostiene Alessandro Onorato, capogruppo Udc in consiglio comunale - Prima di arrivare a colpire autisti, macchinisti e meccanici, bisogna tagliare gli sprechi conclamati e soprattutto allontanare i partiti dalla gestione dell'azienda». Nella seduta di domani dell'aula Giulio Cesare, annuncia il capogruppo Pd Umberto Marroni, «chiederemo di affrontare una discussione sulla situazione in essere in Atac, per fare chiarezza sul futuro degli oltre dodicimila lavoratori». Secondo Marco Miccoli, segretario romano Pd, «è ingiusto che i lavoratori paghino lo scandalo Parentopoli, che ha scassato le casse dell'azienda, facendo assumere a tempo indeterminato e senza concorso centinaia di amici degli amici, tra cui ex terroristi di destra, ex pugili, cubiste, fiorai, ed anche due figliole dell'ex caposcorta dello stesso Alemanno».
Replica Giovanni Quarzo, consigliere comunale Pdl: «l'opposizione dovrebbe evitare di prendere posizioni che davvero non stanno né in cielo né in terra, o di dare consigli che, alla luce di 15 anni di scelte inefficaci, non capiamo in virtù di cosa dovremmo accettare».