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Data: 24/04/2006
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Nozze italo-spagnole: duro stop di Rutelli. «Dubbi assai severi». La frenata del centrosinistra, possibilista la Cdl

ROMA - L'avevano ripetutamente cercato, in questi giorni, Francesco Rutelli. Ma né Gilberto Benetton né Vito Gamberale erano stati fortunati. Il telefono del leader della Margherita, a quanto pare, era rimasto muto. E quel silenzio non si è rivelato un bel segnale. Almeno a giudicare dalle parole di Rutelli: «Quando conosceremo la sostanza industriale della fusione fra Abertis e Autostrade daremo un giudizio compiuto. Ma ora si devono esprimere dubbi assai severi». Intanto «per il metodo: in base al quale un monopolista decide di realizzare un'operazione tanto rilevante in assenza di un governo che abbia pienezza dei poteri». E poi pure «per il merito: se è vero che sarà spagnola la guida, spagnola la prevalenza nell'azionariato, spagnola la sede della holding, titolare di una concessione dello Stato italiano». Proprio Rutelli, che nel caso della scalata alla Bnl da parte degli spagnoli del Bbva era stato tra i più critici della difesa della «italianità» delle banche di cui l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio aveva fatto la propria bandiera, ora lancia l'allarme per la possibile cessione all'estero di una grande impresa italiana. E apre un secondo fronte. Conclude infatti il leader della Margherita: «Sembra che si siano voluti incassare i robusti benefici di una privatizzazione, anziché esercitare un ruolo leader in Europa. Se così fosse, si tratterebbe di una nuova prova non certo brillante del capitalismo italiano, pronto nel sollecitare i poteri pubblici, non sempre altrettanto adeguato di fronte agli interessi del Paese».
Una posizione che è stata immediatamente definita dal centrodestra (Luca Volontè, Udc), «strana e allarmante, mentre Pierluigi Borghini (Forza Italia) giudicava «positiva» la fusione e Luigi Grillo (anch'egli di Forza Italia) la bollava invece come «contraria alle direttive del Parlamento».
Dire che Rutelli voglia mettere così sotto accusa, insieme a una intera generazione di imprenditori, anche la passata stagione delle privatizzazioni targate centrosinistra, forse sarebbe troppo. Certo è che l'episodio induce pure Pierluigi Bersani, responsabile economico dei Ds e candidato a guidare il ministero dell'Economia reale, a una travagliata considerazione: «Noi siamo pronti a fare una riflessione su quelle vicende, che ebbero un impulso troppo stringente a causa dello stato della finanza pubblica. Avevamo fiducia di avere una sponda in un capitalismo italiano che poteva cogliere l'occasione delle privatizzazioni per crescere e modernizzarsi. Ora non vorremmo che gli interlocutori industriali ce la facessero fare troppo amara, quella riflessione».
Se non proprio un rammarico, qualcosa di molto simile a un'autocritica. La stessa che si può intravedere nelle parole di un altro esponente del centrosinistra, l'ex sottosegretario al Tesoro Roberto Pinza: «In questo caso c'è un vizio d'origine. C'è da chiedersi a che cosa sia servita quella privatizzazione».
Nel merito, per Bersani «si deve osservare bene un'operazione che certamente determina una massa critica di rilievo ma non lascia senza preoccupazione». Perché queste integrazioni «si fanno anche per bilanciare i rischi delle regolazioni. Ed è un aspetto che mi piace poco perché può preludere allo spostamento del progetto verso il Paese dove ci sono condizioni più favorevoli», dice il responsabile economico dei Ds. Sottolineando comunque di «non avere gli elementi per un giudizio completo».
Una prudenza, la sua, che diventa ancora più evidente nell'entourage di Romano Prodi. Dove si getta acqua sul fuoco delle polemiche consci del fatto che critiche preventive potrebbero attirare sul futuro premier l'accusa di aver influenzato negativamente l'andamento del titolo Autostrade in borsa. Ma questo non significa che il governo di centrosinistra non se ne occuperà. Bersani invia questo messaggio ai Benetton: «Quando ci sarà il governo si aspettino di essere interpellati su questa operazione».
Per il gruppo guidato da Gamberale, manager con molti estimatori anche nella nuova maggioranza, e che contando su un rapporto più disteso e «anglosassone» con la politica aveva messo a disposizione un contributo a tutti i partiti per la campagna elettorale, la partenza è inequivocabilmente in salita. E non soltanto per la questione dell'italianità, o meglio di quello che viene già definito «il patriottismo a corrente alternata». «Il centrosinistra ha dimostrato di essere europeista fino in fondo. Ma si tratta di capire se è un'operazione che rafforza la capacità di investimento anche nel nostro Paese, oppure se non è fatta per sottrarsi al confronto con i sistemi di regolazione», afferma Bersani. Il quale, anche se non vede analogie con la scalata dell'Edf alla Edison, che nel 2001, come ora proprio nel bel mezzo del passaggio di poteri, spinse il governo uscente di centrosinistra a fare una legge per bloccare i francesi, avverte che «un governo può intervenire con procedure ordinarie, le concessioni, gli investimenti, le liberalizzazioni...».
Mentre secondo Pinza, che dice di «non aver mai creduto alla questione dell'italianità», c'è solo una strada: «I monopoli tecnici o non li privatizzi, o se li privatizzi devi circondarli di cautele. Bisogna far funzionare meglio l'autorità di regolazione». Che però ora non c'è. Ed è così che Anna Donati, dei Verdi, arriva a una conclusione: «Autostrade ha precisi impegni con lo Stato e deve rispettarli. Per tutelarci che questo accada bisognerebbe costituire subito l'Authority dei Trasporti che è nel nostro programma».

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