«Il danno ambientale è tale se ha una connotazione di pericolosità diffusa e rilevante. Ma la discarica La Torre non era una discarica di rifiuti speciali, o tossici o pericolosi». È una difesa in punta di diritto quella andata in scena ieri davanti al giudice monocratico Domenico Canosa da parte dei legali del presidente della Regione ed ex sindaco di Teramo Gianni Chiodi e del dirigente comunale Nicola D’Antonio. Nella seconda udienza dedicata alle difese degli undici imputati finiti a processo per il crollo della discarica La Torre le arringhe degli avvocati Enrico Mazzarelli e Mauro Di Dalmazio (entrambi per Chiodi) e Guglielmo Marconi (che rappresenta D’Antonio) si sono infatti addentrate sia nella qualificazione del reato contestato ai loro assisiti (che devono rispondere di crollo colposo), mirando a scardinare l’intero impianto accusatorio sotto il profilo della qualificazione giuridica del delitto di crollo colposo e citando a sostegno della loro difesa numerose sentenze, sia nel sottile filo che distingue le competenze assegnate dalla legge all’organo politico rispetto a quello amministrativo. Una strada, quella dell’errata qualificazione del reato, aperta proprio dalla difesa di D’Antonio, all’epoca dei fatti responsabile della discarica, per la quale non solo il dirigente avrebbe sempre agito correttamente e sulla scorta dei pareri degli enti preposti ma addirittura quanto avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 febbraio del 2007 andrebbe ricondotto, secondo la giurisprudenza, ad un reato contravvenzionale e non al delitto di disastro innominato colposo. Delitto, quest’ultimo, per il quale dovrebbero ricorrere elementi che non verrebbero configurati nella fattispecie in esame. «Si è parlato, in maniera ambivalente, di frana, evento franoso - ha detto in aula l’avvocato Marconi - parlando del fenomeno e non della fattispecie del reato». Reato che secondo il legale di D’Antonio non potrebbe configurarsi nel delitto di crollo colposo, in quanto quest’ultimo necessiterebbe di un’ampiezza e di una diffusività, sia in termini di danno ambientale che di pericolo per la vita o l’incolumità di un numero indeterminato di persone che non si sarebbe certamente riscontrato nel caso della discarica La Torre.
Una linea difensiva alla quale si sono ispirati anche i legali del presidente della Regione Gianni Chiodi, ieri presente in aula per la seconda volta dall’inizio del processo, che hanno indagato anche i rapporti tra organo politico, a cui spetta il compito di indirizzo, e l’organo amministrativo-gestionale, dotato della massima autonomia, e ricordato come ai tempi la discarica La Torre fosse di fatto l’unica in attività in tutta la provincia. Ma non solo. Per i legali di Chiodi, infatti, l’amministratore a fronte della rassicurazioni e delle autorizzazioni arrivate da parte degli organi tecnici non avrebbe infatti avuto alcuna competenza per asserire il contrario ed avrebbe dunque sempre svolto il proprio ruolo nella massima correttezza. Ieri, infine, è stata anche la volta della difesa di Franco Gerardini, rappresentato dall’avvocato Francesco Mastromauro, che ha sottolineato come il suo assistito, all’epoca dei fatti dirigente regionale del settore rifiuti, abbia sempre agito sulla scorta delle note dell’Arta. Un’udienza fiume, quella di ieri mattina, con il processo aggiornato al prossimo 25 giugno, data per la quale è attesa la sentenza.