lE MAZZETTE Mi ha chiesto soldi anche dalla clinica. A Natale misi 4 mila euro in un cesto
PESCARA «All’Aca non ricordo un lavoro, un appalto regolare a cui ho partecipato». Inizia da qui la confessione di un imprenditore che, seduto al tavolo del pm, racconta di aver pagato presunte tangenti per ottenere appalti: «Per tre volte ho portato soldi a casa di Ezio Di Cristoforo, per due volte nella clinica dov’era ricoverato». La voce è quella di Claudio D’Alessandro, imprenditore aquilano di 45 anni arrestato ai domiciliari nel dicembre 2012 e che, quattro mesi dopo – assistito dagli avvocati Marco Spagnuolo e Daniela De Sanctis – decide di sfogarsi, di raccontare al pm Anna Rita Mantini i tempi, le modalità, gli importi di quelle presunte tangenti dando linfa a una grande inchiesta che ha portato all’arresto di quest’estate dell’allora presidente dell’Aca Ezio Di Cristoforo. Una sorta di “pentito”, D’Alessandro, un Vincenzo Angelini in miniatura, la cui parola – sostiene l’accusa – è stata riscontrata «dai prelievi e dai documenti sequestrati» dagli uomini della squadra Mobile e della Forestale e che, proprio recentemente, ha scelto di patteggiare. Ecco alcuni estratti dell’interrogatorio fiume in cui D’Alessandro ha accusato Di Cristoforo. «La prima richiesta: ho detto va bene». E’ il 3 aprile 2013 e l’imprenditore racconta al pm di essere titolare di cinque, sei ditte con cui ha partecipato alle gare a partire dal 2009 «per l’ambizione imprenditoriale di fare più lavori e per garantire il lavoro ai miei dipendenti». Pm: «La prima volta in cui ha parlato di soldi con Di Cristoforo dove è stata?». D’Alessandro: «Pescara. Lui mi fece capire che, siccome l’appalto stava per finire, per il prossimo appalto poteva darmi una mano riconoscendo una percentuale sull’aggiudicazione». Pm: «Che vuol dire mi fece capire? Come glielo fece capire, con i segnali di fumo? A parole? Per iscritto?». D'A.: «Mi disse, adesso partiranno le gare del 2011 inerenti alla manutenzione se sei interessato o meno, c’è una percentuale da riconoscere». Pm: «E lei che ha detto? Qual è stata la sua reazione?». D’A.: «Sì, gli ho detto va bene» (...) Pm: «Percentuale di quale importo?» D’A.: «Variava dal 5 al 6%». Avvocato: «Altrimenti?». D’A.: «Lui era chiaro sul fatto di... o è così altrimenti non prendevo il lavoro». Pm: «E lei disse di sì perché voleva lavorare?». D’A.: «Sì». (...) Pm: «Nel file di un suo pc c’è scritto 3 mila euro dopo l’aggiudicazione dell’appalto delle fogne 2011 di Pescara». D’A: «Esatto». Pm: «Quindi dopo l’aggiudicazione cosa fa lei? I soldi dove? Come? Con quale modalità?». D’A.: «Contanti». Pm: «Dove li portava?». D’A.: «Agli uffici su all’Aca». Pm: «Come li ha dati e che soldi erano?» D’A.: «Allora, parte sui prelievi contanti della ditta e parte dei contanti che mi avevano girato». Pm: «Quindi era contante che custodiva dove?». D’A.: «In una cassaforte, in una cassetta della Tercas» (...) «All’epoca prendevo gli incassi per contanti che fatturavo, li mettevo in cassetta e man mano che mi servivano li usavo» (...) Pm: «Per i 3 mila euro dove vi siete incontrati?». D’A.: «Io andavo nel suo ufficio, li mettevo nel giornale o dentro una cosa e glielo posavo sulla scrivania e me ne andavo». (...) Pm: «Come la chiamava? Con quale motivazione?». D’A: «Tramite la segretaria mi diceva di passare in ufficio (...). Quando per un periodo non mi vedeva, mi faceva chiamare. Andavo su e lui mi diceva in settimana mi servono dei soldi. Io già sapevo per la settimana successiva la data, il giorno, quando lui andava in ufficio e gli portavo i soldi (...) A volte mi parlava piano, mi faceva dei segni, con la penna. Prendeva un foglio e scriveva lunedì ore 13 (...) Lui sapeva che dovevo corrispondere perché c’era stata l’aggiudicazione». «Ho provato a fregarlo, a pagarlo di meno ma ricordava tutto». L’imprenditore continua nella ricostruzione e racconta anche di aver cercato di pagare di meno Di Cristoforo. Investigatore: «Ci ha detto che ha provato a fregarlo, una volta gli portava di meno». D’A.: «Gli davo 2 mila, 3 mila, poi quando facevo i conti gli dicevo guarda ti ho dato x e invece 2 mila non glieli avevo dati ». Pm: «Allora lui portava una sua contabilità oppure si fidava?». D’A.: «No, lui si ricordava, se lo ricordava a mente». «O paghi o chiudi». D’Alessandro, tra i vari appalti, si è occupato di quello delle fogne di Pescara e racconta come avrebbe ottenuto i lavori. D’A.: «Le condizioni per lavorare erano quelle del presidente, se non riconoscevo quelle percentuali avevo chiuso, cioè se volevo lavorare dovevo riconoscerle. Non mi ha minacciato ma le condizioni erano quelle: se vuoi lavorare devi riconoscere altrimenti non lavori più, ti faccio chiudere qua.. ma minacce di botte no». Pm: «Ci fu mai uno scontro tra lei e il presidente per problemi di pagamento?». D’A.: «A volte ehh., quando dovevo andare con i soldi e io non portavo i soldi ehh, andava un po’ (...) Alzava la voce dicendo: non ti faccio entrare manco più alla porta se non corrispondi quello che... Non è che urlava però diceva: non ti faccio entrare se ti comporti in questo modo». «Richiesta di tangenti nella clinica e il cesto natalizio». Complessivamente, l’imprenditore ha raccontato di aver pagato circa 50 mila euro di presunte tangenti all’ex presidente e in questo passo spiega di aver ricevuto richieste anche nella clinica dove Di Cristoforo si trovava e di essere andato anche a casa dell’ex presidente a Bolognano. D’A: «Ho portato i soldi sia alla clinica dove lui era ricoverato e sia a casa. Sono andato due volte in clinica». Pm: «Chi gliel’ha detto di andare là? Lui?». D’A.: «Il direttore dei lavori mi aveva detto che era stato male. Lui non sapeva dei pagamenti ma mi disse che era stato male: se vuoi vallo a trovare. Io andai là e quando andai a trovarlo mi disse già la data successiva che dovevo riandare, che lui stava lì in clinica a fare la riabilitazione e di portare con un giornale eh...i soldi, che gli servivano i soldi». Pm: «E a casa sua?». D’A.: «Tre volte di cui una prima di Natale, gli portai un cesto lì... a casa sua». Pm: «Un cesto natalizio?». D’A.: «Esatto, ci avevo messo i soldi, non mi ricordo di preciso ma sempre 4 mila euro, 5 mila, 3 mila: quelli erano gli importi».