Ma la caccia alle coperture non cessa: ora servono 250 milioni. L’incognita delle detrazioni fiscali e lo slalom tra gli adempimenti
Ma se nulla cambierà, è indefinito il numero dei Comuni che alla fine costringeranno i propri amministrati a pagare, mentre non si conoscono gli importi nel dettaglio e non è ancora del tutto chiaro in che modo sarà coperta la cancellazione della prima rata soppressa a giugno. Il governo, per questa posta, aveva indicato gli introiti derivanti dalla sanatoria per le slot machine (600 milioni) e le entrate Iva prodotte dai rimborsi dei debiti della pubblica amministrazione (925 milioni). Ma l'incasso è stato inferiore alle attese. Così due giorni fa il governo ha attivato la clausola di salvaguardia per l'incremento dell'acconto Ires di 1,5 punti percentuali. Una norma che, unita al decreto che abolisce la seconda rata Imu, porta gli acconti Ires-Irap da pagare entro il 10 dicembre al 130% per banche e assicurazioni e al 102,5% per le aziende. Un salasso che ha mandato su tutte le furie Confindustria costringendo Palazzo Chigi a riflettere sull'opportunità di cambiare strategia cercando altrove i soldi che servono.
CONTROMISURE
Così al ministero del Tesoro, dove si parla di 500 milioni da reperire per evitare al mondo bancario e assicurativo di metter mano al portafoglio, fonti politiche vicine al dossier non escludono che alla fine lavorando tra le pieghe del bilancio (alla voce tagli di spesa) si possa trovare una soluzione. Il governo in queste ultime ore si è detto disposto a trattare con i Comuni per venire in parte incontro alle richieste. Il ragionamento che si fa al Tesoro è questo: alcuni Comuni hanno alzato le aliquote nel 2013 perché costretti, altri invece hanno provveduto al ritocco all’ultimo minuto scommettendo sulla possibilità di avere qualche fondo in più in cassa. Ai primi il Tesoro si dice pronto a venire incontro, ai secondi invece no. Tradotto in soldoni, la somma da reperire allora si dimezzerebbe attorno ai 250 milioni. Una mediazione che risolverebbe in parte il nodo della beffa a carico dei contribuenti che dovranno versare parte della seconda rata. Ma, è la posizione al Mef, chi sarà costretto all’ulteriore versamento dovrà prendersela con la propria amministrazione municipale. «Sono d'accordo con le critiche per la confusione che si è generata, faremo chiarezza» ha detto il ministero delle Infrastrutture Maurizio Lupi riconoscendo che c'è «uno strascico legato al fatto che quest'anno 700 comuni hanno aumentato l'Imu dal 4 al 6 per mille». Le parole di Lupi hanno offerto il destro all'opposizione per un attacco all'esecutivo. «Il fatto che alcuni esponenti del governo ammettano che sull'Imu si è fatto un gran pasticcio è una vergogna» ha tuonato Maurizio Gasparri. In base al decreto varato mercoledì scorso, infatti, i proprietari di prima casa, circa 10 milioni, pagheranno il 40% della differenza tra l'aliquota base del 4 per mille e l'eventuale maggiorazione decisa dalla giunta comunale. Per le delibere i Comuni hanno tempo fino a giovedì prossimo. E su 8 mila comuni, finora sono stati approvati solo la metà dei regolamenti Imu. Il che vuole dire che sono milioni i contribuenti che ancora non sanno se e quanto a dovranno pagare la quota parte di differenza.
L'incertezza, tra l'altro, potrebbe creare guasti aggiuntivi come segnalato nelle ultime ore dai Caf: la nuova normativa che cancella parzialmente la seconda rata Imu rende estremamente probabili errori nella determinazione degli importi da pagare. «Ho l'impressione che i Comuni che avevano alzato l'aliquota base sull'Imu stiano ad uno ad uno annullando quelle decisioni e che il problema quindi si risolverà» ha ipotizzato Corrado Sforza Fogliani. «Credo che i Comuni vogliano usare la solita litania dell'insufficienza delle risorse – ha aggiunto il presidente di Confedilizia – ma nei fatti stanno tornando indietro su quella decisione».