GENOVA La campagna elettorale di Beppe Grillo comincia da lontano: «Il prossimo anno si vota per le Europee, e noi vinceremo. Saremo i primi in Italia e in Europa». Poco importa che al voto manchi ancora molto tempo. I consensi da recuperare sono tanti, occorre una rincorsa lunga. E così il terzo Vaffa Day della storia sembra più che altro un comizio pre elettorale. Niente a che vedere, insomma, con i fuochi d’artificio delle due precedenti edizioni.
In piazza della Vittoria a essere generosi sono quarantamila. Che sono comunque tanti, ma poiché lo slogan scelto per la giornata è «andare oltre», il comico va decisamente oltre: «Siamo 200 mila». Pare Roberto Calderoli quando dava i numeri sull’adunata leghista di Pontida. E pare l’Umberto Bossi dei giorni migliori quando lancia il penultimatum a Napolitano: «Vi annuncio che stiamo preparando la documentazione per l’impeachment». Lo ripete da quest’estate, ma per ora rimane ancora un annuncio.
REMINISCENZE LEGHISTE
Le somiglianze con Bossi e Calderoli non sono casuali. C’è infatti molto leghismo nel Vaffa Day del 2013. Dal «tutti a casa» di padana memoria che fa da ritornello della kermesse, alle idee che mette in campo per accalappiar voti alle Europee: «Punto primo: un referendum per decidere se stare nell’euro o uscire», che è la stessa cosa invocata da Bobo Maroni. «Punto secondo: reintrodurre i dazi per le merci straniere», che era il refrain di Tremonti e dei ministri nordisti quando stavano al governo.
Ci sarebbero altri cinque punti nella «strategia europea» di Grillo. Ma passano inosservati nel dipanarsi di un comizio che scalda gli animi - e ce ne sarebbe bisogno col vento gelido che tira - solo quando gli scappa la battuta: «Papa Francesco è un grillino». O quando invoca miti del passato: «Ci fosse ancora Pertini sarebbe con noi». O quando sbeffeggia Enrico Letta: «Un capitan findus che ha fatto il nipote per tutta la vita». O quando urla che «daremo l’estrema unzione ai partiti».
2,7 MILIARDI DA RESTITUIRE
In cerca di nuovi mondi - e di nuovo elettorato - da esplorare, tende la mano alle piccole e medie imprese: «I sindacati sono peggio dei partiti» dice facendo suo un altro cavallo di battaglia leghista. In piazza però di piccoli e medi imprenditori ce ne sono pochini. Ci sono semmai i vessilli dei No Tav, e a far numero sotto il palco sono soprattutto quelli che una volta chiamavano «no global». I quali si entusiasmano solo quando Grillo promette che farà restituire ai partiti «i 2,7 miliardi che si sono intascati col finanziamento pubblico».
Sul palco passano Casaleggio e Dario Fo, qualche esperto di acqua o di green economy, ma nessun parlamentare. I quali però girano fra la gente, salutati con calore, costretti a fare foto con questo e quello. Il capo li lusinga: «Siete migliori di me». E soprattutto lusinga le sue donne di Camera e Senato: «Persone vere, senza siliconi e senza culi di plastica». Adesso ce ne sono altre da mandare a Strasburgo, e c’è molto tempo per trovare i voti.
Non parla a lungo, Grillo. E rispetto al solito fa una certa attenzione a non esagerare col turpiloquio. Forse gli hanno detto che non sta bene, o forse anche lui sente che il Movimento 5 Stelle da quando sta nel Palazzo ha in qualche modo cambiato pelle. Forse sente che il vaffa non basta più, che dire di «voler far pulizia» può risultare solo uno slogan, che per essere credibili quando si grida che «questa legge elettorale va assolutamente cambiata» bisogna poi fare in modo di cambiarla per davvero.