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Pescara, 25/11/2024
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Data: 04/01/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Lo spread scende fino a quota 197. Letta: il Paese ora può ripartire. Il livello più basso dal 2011. Per il premier è la prova che andiamo nella giusta direzione. Gli effetti Spesa sugli interessi, lo Stato risparmierà 5-6 miliardi Nuove risorse per tagliare le tasse sul lavoro

ROMA Lo spread si raffredda ancora e torna sotto quota 200 chiudendo a 197 punti. Non accadeva dalla calda estate del 2011, in anno orribile segnato, come si ricorderà, da fortissime ondate speculative che portarono il differenziale tra Btp e Bund al record storico dei 575 punti. Allora a pesare furono le tensioni che segnarono la fine del governo Berlusconi, poi arrivarono gli alti e bassi dell’esecutivo Monti, mentre oggi, complice la ripresa (lenta) dell’economia, il clima appare più disteso e il termometro che misura la fiducia dei mercati internazionali ne prende atto. «Una grande notizia - spiega subito il presidente Enrico Letta al Tg1 - che testimonia la bontà dell’azione di governo. Vuol dire che andiamo nella giusta direzione e che i sacrifici degli italiani hanno pagato». Non solo. Il premier assicura che adesso «ci sono le condizioni perché il Paese riparta». Perchè fintanto che lo spread «ballava oltre i 500 punti abbiamo pagato 20 miliardi di interessi in più. Ora invece abbiamo risorse disponibili» per il lavoro e imprese. La direzione di marcia è chiara. E Letta pensa di sfruttare la nuova situazione per abbassare le tasse sul lavoro e favorire l’occupazione giovanile. Con lo spread in calo - conclude - anche le nostre imprese saranno più competitive rispetto a quelle tedesche o francesi e potranno finanziarsi a tassi più bassi.
Sulla stessa linea il ministro delll’Economia, Fabrizio saccomanni. «Lo spread che a inizio anno si aggira attorno ai 200 punti base - sottolinea - indica che i mercati apprezzano l’operato del governo, il suo impegno per il mantenimento della stabilità dei conti e per l’avvio delle riforme, sia istituzionali che economiche». Per Saccomanni «è importante che i rendimenti siano sotto il 4%», ma certamente si può fare molto di più. La Spagna ad esempio - spiegano al Tesoro - con i Bonos (spread a 192) ha fatto meglio dei Btp. Eppure l’economia non va certo meglio di quella italiana. A frenare una discesa più marcata, si aggiunge, è ancora l’incertezza politica che condiziona il Paese, mentre Madrid gode di una stabilità assoluta, evidentemente premiata dai mercati. Dall’Economia sono comunque ottimisti. La discesa del differenziale a quota 200 ad inizio 2014 era stata ampiamente prevista dal documento di programmazione che ha posto altri obiettivi ambiziosi: spread a 150 nel 2015 e a 100 l’anno successivo. Nulla di impossibile, visto che l’Irlanda ha già da tempo un differenziale così vantaggioso.
LE CRITICHE DI FORZA ITALIA

Durissimo invece Renato Brunetta di Forza Italia. «E’ vero che lo spread è diminuito di 100 punti in un anno, ma certo non per merito del governo (i rendimenti dei nostri titoli decennali erano intorno al 4% un anno fa e tali restano ancora oggi), bensì per via dell'aumento dei rendimenti del Bund tedesco (schizzati al 2%)». Insomma, conclude, «Letta si sbaglia perchè è stato il Bund a contribuire in modo determinante a ridurre lo spread: proprio come nella tragica estate del 2011 aveva contribuito a farlo aumentare, attraverso la vendita, da parte di Deutsche Bank, dei titoli di Stato italiani in portafoglio, che ha dato il via alla speculazione internazionale contro il nostro Paese».

Gli effetti Spesa sugli interessi, lo Stato risparmierà 5-6 miliardi. Primi conti al Tesoro con i tassi stabili al 4% per i titoli a medio-lungo termine Il ministero ha in scadenza 300 miliardi di debito pubblico fino a novembre 2014

ROMA Se non cambiano le cose il risparmio sulla spesa per gli interessi può essere di 5-6 miliardi. Con lo spread e i rendimenti dei titoli di Stato in picchiata, nel governo cominciano a fare i conti. Ed anche se al Tesoro sono prudenti rispetto all’entusiasmo del ministro Lupi, le valutazioni del titolare delle Infrastrutture non sembrano poi così lontane dalla realtà. Con lo spread sotto quota 200, l’Italia non solo riporta le lancette indietro di due anni e mezzo. E cioè all’alba della speculazione finanziaria contro il suo debito pubblico. Ma migliora nettamente la sua situazione. A luglio 2011 i titoli italiani a lunga scadenza venivano infatti offerti sul mercato al 5% (per poi salire anche molto più in alto) mentre adesso rendono meno del 4%. Considerato che la riduzione stabile di un punto percentuale delle curve dei rendimenti, secondo i calcoli di Via XX Settembre, corrisponde a un minore onere del debito di 0,19 punti di Pil, il risparmio che ne deriva vale circa 3 miliardi. Se a questa partita si aggiunge quella dei Bot a 12 mesi, il risultato finale (5 miliardi di spesa per interessi in meno nel 2014) è assai probabile.
LO SCENARIO
Al momento, questa tipologia (vanno a scadenza 135 miliardi quest’anno) rende poco più di mezzo punto percentuale. Se gli interessi rimarranno fermi su questi livelli, lo Stato dovrà pagare premi per 1 miliardo di euro contro i 3 che avrebbe dovuto sborsare con il valore medio (il 2,9%) registrato negli ultimi 30 mesi. Insomma, altri 2 miliardi risparmiati. Per un totale, appunto, di 5 miliardi. Se poi si getta uno sguardo molto più in avanti nel tempo, i benefici per le casse dello Stato possono diventare ancora più consistenti e duraturi. Nel 2014 andranno in scadenza anche 112 miliardi di Btp di durata compresa tra 3 e 10 anni. Attualmente, questi titoli pagano in media il 2,7%, vale a dire circa un terzo rispetto al 2011 quando arrivarono al 7,3%. Alla fine dell’anno il Tesoro dovette pagare, per questa tipologia, 10 miliardi di premi contro i 3,5 che potrebbe versare alla fine del 2014. La discesa di spread e rendimenti, peraltro, cade in una fase molto più tranquilla rispetto al 2013, quando il Tesoro ha collocato un totale di 476,188 miliardi di titoli di Stato, di cui 150 miliardi in Btp. Il ministero ha in scadenza 300 miliardi di debito fino al novembre del 2014. E secondo i conteggi dell'agenzia di rating Fitch, quest’anno il rifinanziamento si ridurrà a quota 400 miliardi, 60 dei quali dovrebbero coprire il deficit.
L’EVOLUZIONE
Insomma, un programma corposo ma meno impegnativo rispetto al recente passato. Da affrontare con prudente tranquillità considerato che alcuni mesi fa, nel Documento di programmazione economico finanziaria, il governo, che per il 2014 aveva indicato proprio uno spread di 200 punti, prevede una discesa fino a quota 100 entro il biennio 2016-2017. Tanto che, a questo punto, è assai probabile che i tecnici del ministero dell’Economia possano presto aggiornare le stime a lunga scadenza relative agli interessi sul debito pubblico pagati dall’Italia agli investitori. L’anno scorso sono stati sborsati 84 miliardi e i documenti ufficiali fanno una proiezione di 104,5 per il 2015. Cifra, quest’ultima, ricavata però attraverso calcoli realizzati in condizioni economico-finanziarie molto peggiori rispetto ad oggi. Occorre a tal proposito ricordare che a febbraio 2013 l’ingovernabilità politica prodotta dal voto delle elezioni aveva fatto impennare il differenziale di rendimento tra Btp oltre i 350 punti, in rialzo di oltre 50 punti base rispetto a inizio anno. Tanto che il Tesoro, in quei giorni, calcolò un possibile aggravio della spesa per interessi di 8,5 miliardi entro il 2015. La cronistoria dell’andamento dei titoli di Stato italiani, peraltro, parla di un Paese che, al momento, sembra aver scampato un pericolo mortale per la sostenibilità del suo debito. A novembre 2011 lo spread toccò il massimo storico a 575 punti con il rendimento del Btp che schizzò al 7,47%. Ma nonostante il cambio della guardia Berlusconi-Monti a Palazzo Chigi, la situazione restò complicata fino a settembre 2012 (spread oltre 400 punti) quando la Bce approvò il piano Draghi che prevedeva «acquisti illimitati di titoli di Stato». Un segnale che scoraggiò la speculazione contribuendo in maniera decisiva al risultato di queste ore.

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