ROMA - Da qualche giorno manifestava segni di insofferenza. Proprio oggi, in un'intervista a Repubblica, aveva detto: "Dal partito solo bordate, mai aiuti". E stasera ha detto basta. Il viceministro dell'Economia Stefano Fassina, sostenitore di Cuperlo alle primarie del Pd, ha presentato al premier Enrico Letta le proprie "dimissioni irrevocabili". E ha motivato così la sua decisione di abbandonare il governo: "Le parole del segretario Renzi su di me confermano la valutazione politica che ho proposto in questi giorni: la delegazione del Pd al governo va resa coerente con il risultato congressuale. Non c'è nulla di personale. Questione politica. Un dovere lasciare per chi, come me, ha sostenuto un'altra posizione". "Responsabilità di Renzi, che ha ricevuto un così largo mandato - ha aggiunto Fassina - proporre uomini e donne sulla sua linea".
Insomma, sembra che a far scattare le dimissioni di Fassina siano state le parole pronunciate un'ora prima da Matteo Renzi in conferenza stampa. A un cronista che gli stava chiedendo: "So che è allergico al termine rimpasto, ma Fassina...". Renzi aveva replicato sorridendo ribattendo "Chi?". No comment da Renzi. "Molto contento dei lavori della segreteria. Adesso legge elettorale, quindi tagli alla politica poi job act per creare lavoro", ha scritto su twitter, dopo la diffusione della notizia delle dimissioni.
Una reazione quella di Fassina che arriva dopo un lungo periodo di tensioni con Renzi. Prima delle dimissioni, in un'intervista a Repubblica, Fassina aveva parlato di una necessità di un rimpasto e di "un chiarimento nel rapporto fra il governo e il partito uscito dalle primarie", aggiungendo di essere "pronto a lasciare".
Job act. Ma uno dei punti che divide di più i due esponenti del Pd è il loro ultimo scontro sulle politiche del lavoro e sul "job act" messo a punto dalla segreteria di Renzi. Un documento che non è piaciuto a Fassina e ai bersaniani. Ma i due politici in passato si sono scontrati su più fronti. A dividere anche il finanziamento pubblico dei partiti e il pressing di Renzi sul Pd per abolirlo in tempi rapidi.
Duelli a distanza. Nel tempo le bordate fra i due si sono moltiplicate. Nel mese di settembre scorso, in un duello a distanza, Fassina aveva definito Renzi "sindaco per miracolo". Un attacco al quale il primo cittadino di Firenze aveva replicato: "Fassina non raccoglierebbe voti neppure dall'assemblea del suo palazzo". Poco più di un anno fa, era stato Renzi a partire all'attacco nel corso di un intervento alla stazione Leopolda: "Sulla rottamazione faccio una eccezione. Mi tengo Morando e vi lascio Fassina".
Le reazioni. Le dimissioni di Fassina scatenano numerose reazioni soprattutto in casa Pd. "In un partito servono le idee ma, assieme, serve il rispetto per le persone. Tutte, a cominciare da quelle che fanno parte della tua stessa comunità. Oggi la battuta del segretario del nostro partito non è stata una traduzione felice di questo spirito", commenta Gianni Cuperlo. Mentre Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria nazionale Pd, attacca: "Non c'è davvero motivo di fare polemiche, ma di lavorare, e molto. Dispiace che il viceministro Fassina esprima in questo modo il suo disagio riguardo alla sua presenza nel governo". Gli fa eco con toni ironici il deputato Pd Ernesto Carbone: "Fassina in 8 mesi è la seconda volta che si dimette. Buona la seconda".
Mentre l'esponente di Forza Italia, Daniela Santanchè ne approfitta per attaccare Angelino Alfano: "Spiace vedere che Fassina ha più coraggio e dignità di Alfano: non si può stare al governo con chi ti umilia e ti sbeffeggia tutti i giorni. Ma agli amici del Nuovo Centro Destra dico: non è mai troppo tardi". "Le dimissioni di Fassina evidenziano un aspetto pre-politico che in questo tempo appare purtroppo ricorrente: il rispetto umano che si deve a qualunque avversario interno ed esterno alla propria parte politica", commenta il Nuovo centrodestra, Maurizio Sacconi.