ROMA «Noi rispondiamo agli elettori delle primarie, non alle correnti del Pd. Fassina spiegherà i motivi delle sue dimissioni alla direzione del partito». Le dimissioni del viceministro dell’Economia agitano il Pd, creano un ulteriore problema ad Enrico Letta, che dovrà fare i conti con un rimpasto non più rinviabile, e ricompattano le opposizioni, che in coro accusano il segretario del Pd di arroganza. Ma Renzi tira dritto e, con un post pubblicato su Facebook, replica a Stefano Fassina che due sere fa ha detto di non volersi rassegnare ad una «visione padronale» del partito. «Se il viceministro all’Economia, in questi tempi di crisi, si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. Se si dimette per motivi politici, grande rispetto: ce li spiegherà lui nel dettaglio alla direzione Pd già convocata per il prossimo 16 gennaio raccontandoci cosa pensa del governo, cosa pensa di aver fatto, dove pensa di aver fallito. Lo ascolteremo tutti insieme con grande attenzione» scrive Renzi, che non ha la minima intenzione né di fare autocritica né di scusarsi con il bersaniano Fassina che alle primarie ha votato per Gianni Cuperlo. «Non cambierò il tono dei miei incontri con la stampa. Mai. Non diventerò mai un grigio burocrate che non può scherzare, non può sorridere, non può fare una battuta. Starò sempre in mezzo alla gente, continuerò a fare battute e a riceverle, ma mettendo al centro il patto con gli elettori, non gli equilibri dei dirigenti. Il Pd ha il compito di cambiare l’Italia, non di vivere un congresso permanente» scrive Renzi, che rispedisce al mittente anche l’accusa di gestire il partito come un monarca. «Fassina mi accusa di avere una visione padronale del partito: non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente dell’assemblea o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza. A differenza di quello che avrebbe fatto la politica tradizionale il mio primo gesto non è stato chiedere un rimpasto, come Fassina mi ha chiesto su tutti i giornali. Continuo a non chiederlo». Il portavoce della segreteria Pd, Lorenzo Guerini, spiega che quella di Renzi («Fassina chi?») è stata solo una battuta e assicura che dietro alla porta sbattuta dal viceministro ci sono ragioni «politiche». Una motivazione che convince solo in parte il presidente del Pd, Gianni Cuperlo, per il quale in un partito «servono le idee ma, assieme, serve il rispetto per le persone». A criticare il “metodo Renzi” è anche Dario Ginefra («Il congresso non ha incoronato un re ma eletto un segretario nazionale») mentre il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, esprime la sua solidarietà a Fassina e dice chiaro e tondo che Renzi ha esagerato: «Ritengo che il segretario del più importante partito italiano debba avere un maggiore senso della misura...». A puntare l’indice contro il sindaco di Firenze è anche la leader della Cgil, Susanna Camusso («Renzi ha proprio sbagliato. Il segretario di un partito deve lavorare per unire non per dividere») mentre Beppe Fioroni dice no al «bullismo politico» e Pippo Civati denuncia un «eccesso di supponenza». Il Pd, insomma, si divide e il vicepremier Angelino Alfano si gode lo spettacolo: «Stefano Fassina è un viceministro del Pd che lascia un governo guidato da un premier del Pd dopo uno scontro con il segretario del Pd. Devo commentare?» .