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Data: 06/01/2014
Testata giornalistica: Il Centro
«Troppi Tir in giro? Li puoi sfruttare per fare turismo». Santarelli (Università di Chieti): progettare città intelligenti vuol dire rovesciare il modo di pensare ai problemi

Lo sviluppo delle Smart City è uno dei temi sul tavolo dell’Unione Europea che prevede di investirci tra i 10 ed i 12 miliardi di Euro entro il 2020. Gli investimenti sono su progetti rivolti alla ecosostenibilità dello sviluppo urbano, alla diminuzione di sprechi energetici ed alla riduzione drastica dell’inquinamento grazie anche ad un miglioramento della pianificazione urbanistica e dei trasporti. Tra le città italiane candidate per l’acquisizione di titolo di città intelligente è Torino, con progetto Torino Smart City che prevede metropolitana a basso impatto ambientale o l’utilizzo di bus elettrici nel centro storico della città. Nell’aprile 2012 inoltre è stata inaugurata una cabina telefonica intelligente. Il primo esemplare è stato collocato di fronte al Politecnico di Torino. È una cabina alimentata con pannelli fotovoltaici, dotata di un touch screen per accedere a informazioni e servizi di pubblica aytilità , dal turismo alla mobilità, dal tempo libero fino al social networking e ai servizi online per i futuri ingegneri del Politecnico di Torino.
di Antonio De Frenza wPESCARA Negli ultimi anni della sua vita l’astrofisico Margherita Hack aveva stretto un forte legame di collaborazione con un giovane ricercatore abruzzese Marco Santarelli, col quale ha pubblicato alcuni dialoghi a cavallo tra scienza e riflessione politica. Nella sua attività di fellow del Polo di Analisi delle Reti dell'Università d'Annunzio Chieti-Pescara Santatelli ha tenuto ferma la barra su questi temi. Anche perché il concetto di città intelligente, o smart city, attuale campo di ricerca di Santarelli, li comprende in pieno. Ragionare in termini di città intelligente vuol dire soprattutto ragionare in termini di sistema, rompendo le catene mentali dell’abitudine e rovesciando l’approccio ai problemi. «Per esempio», spiega il professore, «quando un Comune o una provincia parla di emissioni zero, di agenda 20-20-20, la questione non va affrontata in termini energetici ma di integrazione dei servizi. Anche l’economia la dobbiamo pensare attraverso un concetto di rete: cos’è altrimenti il sistema dei trasporti? Anche l'adattabilità del comportamento dei cittadini va analizzata secondo questo discorso». Come? Rovesciando l’approccio. «Per esempio bisogna che le amministrazioni pubbliche si adattino ai cittadini partendo dalla tecnologia a disposizione degli stessi cittadini. Non possiamo pensare alla smart city solo come wi fi o come consumo intelligente, perché presuppone un adattamento del cittadino, come nella raccolta differenziata. Bisogna invece rovesciare il rapporto e dare al cittadino la possibilità di fare qualcosa». In che modo? «Per esempio collaborando attivamente all’elaborazione di un questionario dei servizi. Non come quelli che ci arrivano a casa dall’Inps o dall’Inail. Il questionario va creato attraverso la quotidianità. I comuni spendono migliaia di euro per capire le tendenze dei consumatori. Ci sono mille modi per farlo in maniera efficace, anche utilizzando i gestori di questa nostra quotidianità: supermercati, bar, piccole attività, che riescono a essere punti di integrazione dei servizi. Seconda mossa è la partecipazione attiva. Per esempio ci sono due borghi che vogliono “diventare intelligenti”: Fara San Martino e Civitella Messer Raimondo. Lì arrivano 998 Tir al giorno perché ci sono la De Cecco e la Delverde. Questo traffico crea criticità ma anche opportunità». In che senso? «I borghi si lamentano perché non hanno turismo, e hanno le case sfitte. Cosa fare? Analizziamo la logistica: se abbiamo 1000 tir al giorno abbiamo circa 2000-2500 autisti che vengono dalle parti più disparate del Paese. Loro sono i primi vettori del turismo. L’amministrazione deve andare da loro e sensibilizzarli, creare una rete di rapporti. Poi c’è la rete delle aziende che ruotano intorno a quel polo produttivo, 3-400, vanno informate e coinvolte. Il rapporto va rovesciato. Rovesciare vuol dire anche che anziché costruire il nuovo possiamo dare più qualità alle case che ci sono. La smart city è legata molto alla rivalorizzazione di alcuni luoghi pubblici, ma se tu queste cose le fai subire ai cittadini l’iniziativa non funziona». In che modo si possono coinvolgere i cittadini? «I Comuni in Abruzzo hanno ristrutturato palazzi storici bellissimi, poi ti chiamano e dicono e ora che cosa ci facciamo? Non ci vuole una mente critica per capire che devi conformare quell’intervento al territorio. Vuole dire per esempio metterci dei reperti storici? Io dico, facciamoci qualcosa di diverso. Per esempio un centro di formazione per genitori che vogliono sapere come funzionano i social network che utilizzano i figli. Oggi un bambino di 2 anni e mezzo, riesce a sbloccare e a entrare in un’applicazione conoscendone solo il simbolo. Qualcosa vorrà dire». Ci sono modelli di smart city già realizzati? «C’è un progetto del Polo delle Reti di Chieti e dell’università di Trento nella Repubblica Dominicana. Un sistema per la produzione di energia democratica e per l’interazione di servizi in 26 mila abitazioni. Chi produce energia la rivende agli altri cittadini, che rivendono a loro volta altri servizi. La cosa si autoalimenta come nel baratto. La cosa più bella in questo progetto non è la creazione di servizi ma è l'analisi del territorio. Da noi per esempio puoi piazzare un palo e sfruttarlo per la telefonia, lì non puoi mettere pali per timore delle alluvioni, puoi fare allora distribuzione di energia elettrica, prodotta tutta da fonte rinnovabile, attraverso antennine alte 10 centimetri». Quali sono i maggiori problemi da superare? «Adattarsi agli insediamenti già esistenti e alle città di vecchia generazione. Lì ci sono lobby pazzesche, ci sono voluti nove mesi per fare gli accordi sulla distribuzione di energia. Ma questo fa parte del gioco: la concertazione dei vecchi servizi con i nuovi fa parte del progetto di smart city».

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