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Pescara, 25/11/2024
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07/01/2014
Il Messaggero
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D’Alessandro: «Chiodi, la grande menzogna». Il Capogruppo Pd «Dopo cinque anni di propaganda del centrodestra rimangono tre società di trasporti, cinque Ater, cinque consorzi di bonifica, sei società di gestione dell'acqua» |
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PESCARA L'ultima battaglia del 2013 è stata quella sul bilancio di previsione della Regione, un rito che si ripete puntualmente tra maggioranza e opposizione ma che a pochi mesi dal voto ha assunto toni da campagna elettorale. E Camillo D'Alessandro, capogruppo del Pd in Consiglio regionale, non intende concedere terreno all'avversario. A fine mandato Gianni Chiodi traccia un bilancio positivo del governo regionale che presiede dal gennaio del 2009: risanamento dei conti, riduzione delle tasse e della spesa pubblica, recupero dell'immagine di un Abruzzo relegato a Regione canaglia dopo gli scandali della sanità. Voi parlate di bugie. Perché? «Perché si tratta della grande menzogna di questi anni smascherata innanzitutto dalla Corte dei conti. Il bilancio è falso, incostituzionale ed è stato approvato con un abuso». Dove sarebbe il falso? "Nel fatto che non sono stati approvati i rendiconti degli anni precedenti, come contestato dalla magistratura contabile. Inoltre è incostituzionale perché non è garantita la certezza del pareggio di bilancio. Infine, sempre con un abuso, sono stati fatti cadere duemila emendamenti. Sui conti però stiamo ai numeri: in soli due anni il debito complessivo della Regione è aumentato di circa 70milioni, a partire dal 2010, arrivando a quota 480 milioni. Nessun risanamento e nessun risanatore. Dopo cinque anni Chiodi dovrebbe dire se ci sono più occupati in Abruzzo o meno occupati, più imprese o meno imprese, più infrastrutture o meno infrastrutture. E direi che da questo punto di vista il bilancio è drammatico». Bisogna però ammettere che il governo di centrodestra venuto dopo la giunta Del Turco ha incontrato una congiuntura sfavorevole. Basti pensare al terremoto dell'Aquila, alla crisi finanziaria arrivata dagli Stati Uniti, alla voragine dei conti della Sanità. «La crisi ha riguardato la nostra regione come il resto del Paese, ma in Abruzzo e in Sardegna ha avuto conseguenze maggiori per il venir meno delle rispettive classi dirigenti. L'operato di Chiodi si è visto proprio in occasione del terremoto: ha scelto un ruolo da figurante e non ha voluto che accadesse in Abruzzo ciò che invece è avvenuto in UmbrIa e nelle Marche durante la ricostruzione. Ha preferito il teatro di Berlusconi agli abruzzesi». Siamo ormai in piena campagna elettorale. Luciano D'Alfonso sarà il vero sfidante di Chiodi o il dibattito è ancora aperto nel suo partito? «Bene, anzi benissimo la disponibilità di D'Alfonso. Poi saranno le primarie a decidere». Con quali idee vi presentate agli elettori? «Dopo cinque anni di propaganda del centrodestra rimangono tre società di trasporti, cinque Ater, cinque consorzi di bonifica, sei società di gestione dell'acqua, tre società che a vario titolo si occupano di sviluppo. Noi per ogni settore abbiamo proposto il soggetto unico, ma in Consiglio hanno fatto decadere tutto. La sfida è anche questa». Nel penale le responsabilità sono sempre individuali, ma gli scandali continuano ad attraversare tutti i partiti: il caso De Fanis nell'ex Pdl, il caso Aca nel Pd, ma quando la politica si sposta nelle aule dei tribunali il distacco con l'elettorato cresce. Non temete lo tsunami Grillo al voto di maggio? «Mi pare evidente che con questi esempi la politica perda ogni forma di credibilità a vantaggio dell'anti politica organizzata. Tuttavia essere grillino in Abruzzo non significa nulla. Alle regionali contano i voti, i nomi e i cognomi dei candidati». Chiodi ha detto che lui avrebbe preferito tornare al voto addirittura nel novembre scorso, ma il Consiglio regionale ha fatto un'altra scelta nel nome dell'election day. Voi avete contestato questa scelta. Ci saranno dei ricorsi? «E' un'altra menzogna. La data delle elezioni non la decide il Consiglio ma il presidente. La verità è probabilmente un'altra, e cioè che Chiodi, cosa per altro mai smentita, avesse sentito rumore di manette sul caso De Fanis già in estate. Da qui la decisione di fare slittare il voto il più tardi possibile. Ora si rischia di trascinare l'Abruzzo nel contenzioso».
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