ROMA Sintetico e lapidario, il post di Beppe Grillo è arrivato in serata: «Il M5S non si presenterà alle prossime elezioni regionali in Sardegna». Poche parole per giustificare il paradosso sardo: lo schieramento che alle politiche nell’isola raggiunse il maggior numero di consensi (il 28%!) si è chiamato fuori dalla corsa alla successione di Ugo Cappellacci perché – sempre usando le parole di Grillo - «non siamo a caccia di poltrone e la partecipazione a una competizione regionale non è obbligatoria».
Sta di fatto che fino a domenica le diverse componenti del MoVimento avevano fatto il possibile per arrivare a una lista comune di 60 nomi, ma da Genova la concessione sul simbolo per le schede elettorali non è arrivata. Da un lato ci sono gli ortodossi (già M5S sardo), dall’altro i meetup. Fino all’ultimo si è tentata una mediazione con un nulla di fatto. E il chiamarsi fuori di Grillo riaccende una serie di dubbi sulla vocazione territoriale del M5S. «Non c’è dubbio che gli attriti interni abbiano pesato sulla scelta», fa notare Antonio Noto di IPR Marketing, «ma Grillo, che è forte di consensi ancora sopra il 20% a livello nazionale, ha usato con astuzia un problema reale per evitare il rischio di un insuccesso: con gli ultimi flop alle amministrative, non voleva altri danni alla sua reputazione in vista delle Europee».
GLI ERRORI PRECEDENTI
In effetti, dopo i precedenti lusinghieri di Parma e Ragusa, il movimento si è arenato proprio sul territorio. La Basilicata e il Friuli sono solo due casi in cui i grillini hanno tradito, in occasione delle amministrative, le aspettative alimentate dai consensi alle politiche dell’anno scorso. Il sondaggista Noto ricorda, su tutti, l’esempio del Lazio dove in febbraio si votò lo stesso giorno per le politiche e le regionali: il M5S vi ottenne rispettivamente il 26% e il 15%. «A questo punto è probabile che il leader abbia deciso di non prendere rischi per non indebolire la sua immagine, che già in questa fase non è altissima», concorda Roberto Weber dell’istituto Ixè. «Così però, e parlo da cittadino più che da tecnico, assistiamo a un esproprio, perché si priva il 15-18-25% di elettorato potenziale dell’offerta politica che gli spetterebbe» prosegue il sociologo.
Ciò che emerge nelle ultime ore di dibattito sul web fra attivisti e simpatizzanti, tuttavia, è soprattutto lo spettro di una gestione verticista da parte della ditta Grillo&Casaleggio. «Non si cita mai la regola non scritta che sconsiglia sedi fisiche al movimento, partendo dal primato della Rete e dalla volontà di abbattere i costi della politica. In realtà, l’assenza di circoli, sezioni, assemblee, congressi, con il crescere dei 5Stelle impedisce loro di strutturarsi, darsi organicità e prospettiva», osserva Federico Mello, autore de “Il lato oscuro delle stelle” (Imprimatur editore). Il giornalista-blogger ritiene che «il successo del movimento porti al suo interno anche i germi della sua sconfitta, perché quando si passa dalla protesta alla proposta i nodi vengono al pettine. È come con le primavere arabe, in cui il Web è stato uno strumento fondamentale per far convergere le masse contro lo stesso obiettivo, ma poi si è rivelato fallimentare nella costruzione di un progetto politico». Per la semiologa Giovanna Cosenza, invece, «la forza del M5S è stata proprio la sua capacità sin qui di coniugare l’uso della Rete per organizzarsi con una presenza capillare nel territorio».
Sul caso Sardegna, serve quindi «cautela perché domani in un’altra realtà locale si potrebbe tranquillamente ripetere un successo come quello di Pizzarotti a Parma nel 2012». La situazione è fluida, ammette Renato Mannheimer. «Per capire come andranno le Europee bisognerà aspettare di vedere, innanzi tutto, se Renzi e Letta manterranno le promesse fatte». Quanto al possibile boomerang di un’alternativa alle forme partitiche tradizionali, la guida dell’Ispo non ha dubbi: «Forse Grillo e Casaleggio esagerano con un regime quasi imperiale, ma sicuramente fanno bene a mantenere le distanze coi partiti – constata Mannheimer - Oggi gli italiani hanno più fiducia nei casinò: nei partiti ormai crede solo il 4-5% della popolazione». C’è insomma un’Italia «socialmente disagiata e affaticata», per dirla come Weber, che «esprime ancora un forte bisogno di grillismo».