Suddiviso in tre macrocapitoli (ripresa, fisco e lavoro) il documento in elaborazione conterrà una serie di proposte concrete e forti (a partire dall’aumento della tassa sui capital gain in cambio di un calo dell’Irap o dell’imposizione sul lavoro e da un taglio del 10% delle bollette per le imprese) ma soprattutto scolpirà la filosofia di quella gigantesca operazione psicologica oltre che economica che secondo il gruppo dirigente renziano dovrebbe trasformare un Paese «scialbo e depresso» (copyright Censis) in un’Italia vivace, produttiva e padrona del suo destino.
Un’operazione ambiziosa ma non spavalda («Speriamo di averne la capacità», è il mantra più ripetuto ai cellulari renziani in questi giorni) anche se nelle conversazioni «off the record» non mancano riferimenti e battute autoironiche riferite a precedenti «cambiamenti di verso», come accadde negli anni ’80, tramite il reaganismo, ad un’America ancora ipnotizzata dal Vietnam o più recentemente alla Gran Bretagna con i 16 anni del ciclo blairista.
Il senso profondo, più politico che economico, del Job Act è ben descritto dal primo capitolo delle bozze del Documento che ha questa ambizione: «Cambiare la missione produttiva dell’Italia». Ieri mattina nella conferenza stampa svoltasi a Firenze, lo stesso Matteo Renzi ha accennato al carattere dell’operazione. «Dobbiamo smetterla di cullarci nel lamento - ha detto - L’Italia deve uscire dalla maledizione della Bella Addormentata nel Bosco». E dunque? «Dunque, se ci riusciremo, passeremo dalla speranza verso Renzi ad una fase di fiducia, di fiducia nei mezzi che il Paese possiede», spiega l’economista Filippo Taddei, il neo responsabile per l’economia della segreteria Pd. Come? Nel Job Act da una parte saranno individuati alcuni interventi di sburocratizzazione per consentire «di fare impresa a chi ne ha voglia e capacità» ma poi saranno individuati anche i sei settori sui quali l’Italia dovrà puntare nel futuro. E qui c’è una prima sorpresa ”culturale”: nel gruppo dirigente renziano c’è la consapevolezza che per creare lavoro l’Italia deve puntare sull’industria, sul manifatturiero.
Esattamente come sta accadendo in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, dopo lo choc della crisi finanziaria. E per questo è prevista anche una riduzione del 10% della bolletta elettrica per le imprese con un taglio della quota-prezzi assicurata ai produttori d’elettricità. Fra gli altri cinque settori sui quali l’Italia - secondo il Job Act - dovrebbe puntare ci sono sicuramente il turismo, la cultura (a partire dalla rete dei musei) e le nuove tecnologie ma sarà indicata anche - e questa dovrebbe essere un’altra novità - una notevole attenzione a settori ad alta intensità di manodopera come le reti commerciali (si punterà a facilitare l’apertura di negozi e supermercati) e i servizi alle persone.
Il secondo capitolo del documento sarà dedicato al fisco. Il Pd di Renzi chiede un piano per una forte semplificazione fiscale e probabilmente nel Job Act sarà indicata la strada della concessione al governo di una serie di deleghe o, meglio, della loro attuazione come ad esempio per quella sulla riforma del Catasto che fu ad un passo dall’approvazione col governo Monti.
Il fisco ”amico” per i renziani dovrebbe diventare una delle leve della ”rinascita” italiana. E ruotare intorno ad uno slogan: tutte le risorse che deriveranno dalla revisione della spesa pubblica (spending review) e dalla lotta all’evasione dovranno andare a ridurre l’Irpef (le tasse sulle persone) e l’Ires o l’Irap (le tasse sulle imprese). Il Job Act proporrà una maggiore tassazione dei guadagni in Borsa (oggi al 20%) in cambio di minori tasse sul lavoro o sull’Irap.
Il terzo pilastro del Job Act, infine, sarà dedicato al Piano Lavoro vero e proprio. Anche su questo fronte si prevede l’avvio di una forte semplificazione con la nascita del Codice Unico - per il quale per la verità il governo intende chiedere la delega alla fine del mese - che dovrebbe raggruppare in 100 commi le oltre 2.000 regole attuali. In questo quadro i democrat si stanno orientando a fare due proposte di sostanza: una semplificazione del contratto di apprendistato (che oggi prevede 12 formalità da espletare) e la nascita di un nuovo tipo di contratto. Un contratto a tempo indeterminato ma senza articolo 18 per i primi tre anni. Nei primi 12 mesi dovrebbe essere possibile il licenziamento senza giusta causa dei neoassunti. Gli stessi neoassunti, in caso di licenziamento fra i 12 e i 36 mesi di lavoro, avrebbero diritto ad una indennità crescente. L’articolo 18 scatterebbe solo dopo i 36 mesi.