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Data: 08/01/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Tetto al 3 per mille sulla prima casa ma il governo finisce sotto tiro

ROMA Incremento di mezzo punto del tetto massimo dell’aliquota Tasi sia per l’abitazione principale che per gli altri immobili. Era questo il finale che ieri sera si prospettava per la telenovela della tassazione sugli immobili. Anche se non sono ancora esclusi ulteriori colpi di scena, come il congelamento del prelievo su seconde case e altri fabbricati al valore massimo attuale del 10,6 per mille, richiesto in particolare il Nuovo centro destra. E non c’è una decisione finale nemmeno sullo strumento legislativo: emendamento al provvedimento Imu-Bankitalia già in discussione al Senato oppure nuovo decreto legge.
PARTITA DELICATA
Quella del governo è ancora, come nei mesi scorsi, una partita delicata, condizionata da esigenze tecniche ma anche da considerazioni politiche. Da una parte ci sono i Comuni che chiedono più spazio di manovra per poter recuperare risorse finanziarie ai propri bilanci. Sull’abitazione principale la richiesta è andare oltre quel tetto del 2,5 per mille all’aliquota già fissato dall’esecutivo con la legge di stabilità. E sta stretto anche l’altro tetto, il 10,6 per mille come aliquota massima per Tasi e Imu (che continua ad essere applicata sulle case diverse dalla prima): perché siccome molti Comuni sono già arrivati a quel valore solo con la vecchia imposta municipale, di fatto non sarebbe più possibile l’applicazione della nuova tassa sui servizi, che tra l’altro deve garantire il gettito venuto meno per l’esclusione dell’abitazione principale dall’Imu. Nelle settimane scorse era emersa l’ipotesi concreta di concedere ai sindaci un margine dell’uno per mille in più per entrambe le tipologie: si sarebbe così arrivati rispettivamente al 3,5 e all’11,6 per mille. Ora l’esecutivo si è invece attestato su una posizione intermedia: tetto del 3 per mille per le abitazioni principali e dell’11,1 negli altri casi. Dal partito di Alfano, a sua volta messo sotto pressione da Forza Italia, ieri con Brunetta - continuano però ad arrivare richieste per un mantenimento dell’attuale limite del 10,6 su seconde case e altri fabbricati.
In questo senso si sono espresse ieri anche Ance e Confedilizia. L’associazione dei costruttori, paventando un sostanziale ritorno dell’Imu, chiede al governo di «evitare una nuova stangata sulla casa». Confedilizia vorrebbe che la scadenza della Tasi (attualmente in realtà affidata ai Comuni) venisse rimandata a giugno, per permettere una ulteriore verifica di tutta la materia.
LE CONDIZIONI PER I COMUNI
Per quanto riguarda l’incremento dell’aliquota massima per le prime case, la concessione fatta ai Comuni sarà condizionata all’applicazione da parte degli stessi di detrazioni d’imposta, che potrebbero anche non essere uguali per tutti i contribuenti (come avveniva con l’Imu) ma differenziate per favorire i contribuenti meno agiati. Come ha ricordato ieri il ministro degli Affari regionali e autonomie locali Graziano Delrio, quella delle detrazioni è una priorità decisiva per il nuovo tributo, che altrimenti penalizzerebbe contribuenti in passato esenti dal prelievo. Lo stesso ministro ha escluso che possa esserci uno slittamento in extremis per il pagamento della mini Imu, in calendario entro il 24 giugno.

Gli effetti. Rischio-aumento per le abitazioni più povere
Decisiva l’applicazione delle detrazioni che i Comuni potrebbero rendere graduali. Per le seconde case aggravio di 84 euro
se la rendita catastale arriva a 1.000

ROMA Un prelievo comunque piuttosto simile nella sua struttura alla vecchia Imu, ma che con l’aliquota sull’abitazione principale fissata al 3 per mille limita l’ulteriore incremento per le case con valore catastale medio-alte. Ma allo stesso tempo dà ai Comuni un po’ meno risorse da usare per detrazioni a vantaggio per quelle di valore un po’ più basso.
Resta il fatto che alla fine, per valutare gli effetti sui singoli contribuenti, saranno decisive le scelte dei rispettivi Comuni di residenza che potrebbero graduare gli sconti favorendo appunto i contribuenti la cui abitazione ha una rendita catastale meno elevata.
IL CONFRONTO CON IL 2012
I confronti sono dunque per forza di cosa approssimativi. Ad esempio il servizio politiche territoriali della Uil calcola un aggravio medio di 40 euro a famiglia rispetto all’assetto precedente (dunque per l’abitazione principale quello del 2012, visto che per lo scorso anno il tributo è stato cancellato o comunque drasticamente abbattuto); nel conto è incluso anche l’incremento sempre di mezzo punto relativo agli altri immobili, che è rimasto in sospeso fino alla tarda serata di ieri.
Per quanto riguarda la sola prima casa, il sindacato vede un pagamento medio a livello nazionale di 237 euro conto i 225 del primo anno di applicazione dell’Imu. Naturalmente però gli importi sono differenziati da città a città, con valori più alti in quelle più grandi: ad esempio Roma dove si arriverebbe a 437 euro in diminuzione però rispetto a quanto mediamente dovuto con la precedente imposta sugli immobili.
Entrando un po’ più nel dettaglio rispetto alla simulazione della Uil,, si possono valutare gli effetti su alcune tipologie di abitazioni, ipotizzando in via provvisoria un’applicazione delle detrazioni nella stessa misura per tutti i contribuenti. Per le abitazioni di valore catastale più basso, resta il rischio di un incremento pur se modesto del prelievo rispetto al 2012 (un confronto più completo può includere anche la maggiorazione Tares sui servizi indivisibili dovuta per il solo 2013). Ad esempio con una rendita di 350 euro l’Imu valeva 35 euro con aliquota al valore standard del 4 per mille e detrazione di 200 euro. Con la Tasi portata dal Comune fino al tetto massimo del 3 per mille, e una eventuale detrazione di 100 euro, la nuova tassa sui servizi risulterebbe pari a oltre il doppio, 76 euro. Ovviamente il passaggio risulterebbe meno sfavorevole se il Comune in questione applicava in precedenza un’aliquota maggiorata rispetto a quella standard.
Con rendite catastali ancora più basse i contribuenti potrebbero trovarsi a versare una manciata di euro a Tasi, a fronte di un’Imu pari a zero, con un disturbo più legato all’adempimento che all’effettivo esborso.
LE CASE DI PREGIO
Al contrario per le abitazioni principali con rendita catastale alta o molto alta ci sarebbe comunque un vantaggio rispetto al regime precedente, più significativo se anche questi contribuenti fossero interessati dalle detrazioni. Ad esempio con 1.800 euro di rendita e le stesse ipotesi del caso precedente la Tasi si fermerebbe a 807 euro contro i 1.010 richiesti per l’Imu, sempre nell’ipotesi di applicazione dell’aliquota standard del 4 per mille.
Il calcolo è più semplice per gli altri immobili, per i quali non esistono in ogni caso detrazioni: con un aliquota complessiva (Imu più Tasi) all’11,1 per mille rispetto al 10,6 a cui molti Comuni sono già arrivati, l’aggravio sarebbe di 84 euro con una rendita catastale di 1.000 euro.

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