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Pescara, 25/11/2024
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Data: 14/01/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Cialente-Curia: scontro frontale. Il sindaco dimissionario: «Ho attaccato lobbies potenti, volevano l’egemonia degli appalti». Il vescovo Petrocchi: «Non parliamo, si rivolga a Valentinetti».

L’AQUILA Il nervosismo si taglia a fette. L’aria è tesissima. I volti nella stanza sembrano icone della sofferenza. Ed è percepibile anche una forte preoccupazione per le condizioni di salute del «capo». Massimo Cialente è seduto alla scrivania di un collaboratore, indossa un cappotto blu, la sigaretta in bocca, accesa o no, non importa, perché, più che altro, la mastica, amaro. «Si stanno lavando le mani e la coscienza con il mio sangue» grida. Sventola la lettera dell’11 dicembre 2013, inviata al presidente Giorgio Napolitano, in cui anticipava la fine di oggi: «Lo sapevo e l’ho scritto al Presidente». «Il progetto per mettere le mani sulla città parte da lontano, con il trasferimento di Fabrizio Magani» e mostra la lettera, in cui lui stesso scrive a Napolitano di essere convinto che il direttore regionale Mibac «sia stato rimosso in quanto ostacolo a un disegno che si è tentato di inserire come norma di legge, che vedrebbe la Curia, la più grande immobiliarista della città, diventare soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici, compresi i luoghi di culto. Abbiamo proposto di colloquiare con la Curia, la Soprintendenza e l’Ufficio speciale, bloccando una scelta che, spinta da tanti interessi, non sarebbe comprensibile». Lo scontro è servito, attacco diretto al cuore e al volto. «Avete visto tutti cosa è accaduto, l’inchiesta sulla Curia è eclatante, ma è Cialente ad andare via» grida di nuovo, alzandosi e girando per la stanza, seguito da collaboratori che gli ricordano che deve andare all’ospedale perché necessita di un tracciato cardiologico. Niente da fare, lui agita i fogli e legge le considerazioni contenute nella lettera, in cui si sottolineano «l’abbandono totale dell’Aquila da parte del Governo..., l’assenza del ministro Trigilia...». Ce l’ha con il Ministro e con il Governo, che l’hanno lasciato solo, che parlavano con l’Università a sua insaputa, all’insaputa del Comune, per un piano strategico di pianificazione urbanistica della città. «Ma lo capite contro chi mi sono messo in questa città? Contro le lobbies e ora vado via io» dice quasi in trance. La Curia legge, riflette e risponde: «Spiace dover riconoscere che nella lettera... al presidente Napolitano, in relazione alla richiesta della Curia, non ci siano corrette informazioni... Si tratta di una richiesta fatta da tutti i vescovi della Conferenza di Abruzzo e Molise perché anche in Abruzzo si possa seguire la stessa procedura adottata per le chiese e gli edifici ecclesiastici nei terremoti avvenuti in Umbria, Marche ed Emilia». Se opportuno, «sarà il presidente della Ceam, Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, a fornire dettagli». L’arcivescovo Giuseppe Petrocchi «si è premurato di far inserire nella proposta di norma la possibilità di fare convenzioni con altri enti (Comune, Provveditorato opere pubbliche e Direzione regionale dei beni artistici e ambientali) per affidare a essi la gestione dei finanziamenti e degli appalti per le chiese». L’unico intento della Curia, insomma, «è di poter disporre di regole certe e meglio articolate, in grado di determinare con chiarezza modalità, entità e tempi dei finanziamenti per la ricostruzione del patrimonio ecclesiastico». Nella lettera, Cialente anticipa anche le dimissioni: «Non sarebbe più giusto riconsegnare il nostro ruolo nelle mani del Prefetto e far venire qui per un anno lo Stato?». Fatto. Irrevocabilmente. Per la seconda volta in otto anni, ma, questa volta, «veramente e senza ripensamenti». «Torno a fare il medico», niente Europee, dunque. Fine della storia politica. Chiaro? No, manca un tassello nella ricostruzione: la goccia che ha fatto traboccare il vaso pieno. «È stata il tg1, sabato mattina, quando ho sentito sulla rete ammiraglia della Rai, la rete del Governo, la storia del rimborso di mia cognata, lì ho capito che la guerra era persa, che il Governo voleva la mia testa». Il soldato Cialente è solo. Nelle precedenti occasioni, quando aveva minacciato di dimettersi o si era dimesso e poi era tornato sui suoi passi, c’erano state una solidarietà e una attenzione da parte di città, partito, maggioranza, ben superiori, neanche paragonabili a quelle attuali. Pochi vogliono ancora salvare il soldato Cialente.

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