PESCARA La situazione è questa: Luciano D’Alfonso resta il favorito per la candidatura a governatore per il centrosinistra, ma nelle stanze romane del Pd renzizzato risuona ampia eco dei malumori dei No D’Alfonso abruzzesi, che sussurranno e gridano brandendo le inchieste giudiziarie da cui l’ex sindaco di Pescara non si è ancora liberato.
L’infaticabile Luciano batte l’Abruzzo metro per metro in una campagna elettorale resa lunghissima dal voto posposto a maggio, spostamento agevolato anche da un’opposizione alquanto blanda del centrosinistra all’Emiciclo: qualche inevitabile parola di tuono contro Gianni Chiodi e la sua maggioranza, poi solo alzate di spalle. Una campagna lunghissima disseminata di ostacoli, in primis quelli costituiti dai processi: D’Alfonso spera in verdetti solleciti ma fin qui non è riuscito a cavare molti ragni dai buchi. Il bello, anzi il brutto per D’Alfonso, è che i primi tifosi delle inchieste che lo riguardano non sembrano essere tanto gli avversari quanto i suoi oppositori interni, come da tradizione più pura del centrosinistra, insuperabile nell’impallinare candidati per consegnarsi poi al naufragio elettorale. Come noto, la speranza dei No D’Alfonso era affidata a Giovanni Legnini, ma il riemergere della legge anti-sindaci, che obbliga all’abbandono di incarichi istituzionali, sottosegretario compreso, novanta giorni prima della presentazione delle liste elettorali, impone a Legnini le dimissioni entro il 25 gennaio. E non è mossa gradita al parlamentare di Roccamontepiano, a meno non la chiedano i vertici nazionali del partito, evento difficilmente ipotizzabile visto quanto la sua presenza nel Governo Letta venga ritenuta importante.
La variabile da considerare ora è che nel Pd renzizzato fa aggio l’appartenenza alla cordata vincente, appunto quella del sindaco di Firenze. E Legnini era schierato con Cuperlo. D’Alfonso no, lui bordeggia l’area Renzi: ma il malpancismo locale che spinge sul tasto delle sue avventure in tribunale lascia tracce. I renziani al potere rimuginano sulla scelta da compiere: e tra l’una e l’altra strada, come quasi sempre accade, ne spunta una terza. Porta dritta dritta alla senatrice Stefania Pezzopane, pasionaria del renzianesimo con il vigore che la contraddistingue.
Dunque Pezzopane verso la discesa in campo. Alle primarie. Con D’Alfonso. Stefania è fortissima all’Aquila, ma Luciano lo è a Pescara e Chieti, e anche a Teramo. Chiunque sappia far di conto, nel Pd, mai sfiderebbe D’Alfonso in singolar tenzone. E allora: o Pezzopane conta sulla sua forza di kamikaze, o ai piani nobili del Pd renzizzato meditano sull’esclusione di D’Alfonso dalle primarie. E come? Chiedendo un passo indietro a D’Alfonso? Figurarsi. Mettendolo fuori dal partito? E perchè? Per condanna potenziale? Pare una strada scivolosa. Imponendo Pezzopane motu proprio, abolendo le primarie? L’idea circola, ma l’imposizione romana farebbe insorgere il popolo democrat (e riporterebbe subito in Senato Franco Marini, non graditissimo a Renzi).
Aspettiamo. E sapremo se lo stil novo renziano troverà soluzioni inedite. O se resusciterà l’antica liturgia: Roma comanda, Abruzzo zitto e obbedisci.