L’AQUILA «Serve un profondo rinnovamento di quello che è un sistema di casta ormai inveterato da anni, che ha cloroformizzato la città per certi versi, che è trasversale, che usa tutti gli strumenti finalizzati alla conservazione del potere e sposta l’attenzione ogni volta». Nel calderone dei veleni di questi giorni, mancava l’arsenico di Gianni Chiodi, il solo elemento che avrebbe potuto rendere ancora più immangiabile la sbobba dei sospetti, ed è stato servito ieri, all’ora di pranzo, dal presidente della Regione, che non fa mistero di avere ancora il dente avvelenato per l’avversione, ed è un eufemismo, mostrata da Cialente, Pezzopane & company nei confronti della sua gestione commissariale. Chiodi, infatti, torna sui suoi anni da commissario, dal 1° febbraio 2010 al 31 luglio 2012, nei quali è stato attaccato spesso. «Si voleva far credere che le magnifiche sorti e progressive, come diceva Leopardi, sarebbero state registrate all’Aquila con la fine del commissariamento - dice sarcasticamente -. Io credo che adesso tutti sappiano perché io dovevo essere tolto. Perché ero un baluardo rispetto a certe situazioni». Chissà da quando l’ex commissario teneva questo colpo in canna! «Chiodi doveva andar via perché era un ostacolo alla ricostruzione, altro che baluardo come ama definirsi - replica subito su Facebook l’assessore Pietro Di Stefano -. Gli faccio notare che le vicende giudiziarie di questi giorni, e a cui egli fa riferimento, abbracciano l’arco temporale tra il commissario all’emergenza Bertolaso e quello di commissario alla ricostruzione ovvero lo stesso Chiodi. Nella sua gestione si è ben guardato dall’assumere atti regolatori della materia oggi oggetto di indagini della magistratura». Secondo Chiodi, nella vicenda, «ci sono responsabilità politiche molto forti», con ovvio riferimento a Cialente. «Si attaccano fantomatiche strategie di una certa Spectre che vedrebbe coinvolto il governo che vuole fare cadere un sindaco» ma questo è solo un «modo tipico della squadra delle Frattocchie di distogliere l’attenzione verso i reali problemi. L’Aquila merita molto di più di quello che ha» prosegue Chiodi, contestando le ipotesi di complotto denunciate dal sindaco dimissionario, Massimo Cialente, con il quale negli anni passati si è scontrato più volte.
«Ho l’impressione - aggiunge - che quello che sta succedendo all’Aquila, gli aquilani lo sapessero prima della magistratura. È necessario che i cittadini dell’Aquila abbiano la garanzia che la propria classe dirigente sia assolutamente al di sopra di ogni sospetto». «Chiodi volgarmente strumentalizza da sempre L’Aquila e spera che gli aquilani dimentichino le sue enormi carenze da commissario, il suo immobilismo, la sua resistenza a qualunque norma potesse garantire una ricostruzione trasparente e partecipata. I fatti contestati in questi giorni risalgono proprio ai tempi in cui il commissario era Chiodi: altro che baluardo. Chiodi è l'ultimo politico abruzzese a poter dare lezioni agli aquilani» afferma il segretario regionale del Pd, Silvio Paolucci: «Non ha titolo a bacchettare alcuno sui temi della legalità: è presidente di una giunta travolta da tre arresti, eppure non si è mai dimesso. Da commissario per la ricostruzione, Chiodi ha lasciato gli aquilani da soli pur di non disturbare il suo capopartito Silvio Berlusconi, al tempo capo del governo: e questo nessuno lo dimentica».
È, innegabilmente, un momento di grande confusione. Chiodi coglie l’occasione per togliersi un grosso sasso dalle scarpe, riaprendo uno scontro atavico con sindaco, giunta e Pd e va incontro alla solita bordata di fischi, condita di critiche e accuse. Una guerra politica di posizioni e contrasti. Va, però, sottolineato che gli attacchi a Chiodi sono gli stessi rivolti, in qualche modo, a Barca e a Trigilia e, prima ancora, a Bertolaso, tutti «nemici», rifiutandone la «gestione oppressiva». Insomma, nessuno degli «stranieri» è andato giù a Cialente e compagnia, giustificatamente o no, poco importa, mentre molto più importante è il fatto che l’atteggiamento, spesso provocatorio e arrogante, ha isolato L’Aquila e la sua classe dirigente, rendendo antipatici all’Italia intera gli aquilani, passati, con l’ultima inchiesta, da parte lesa del terremoto a banda di opportunisti, eufemismo anche questo, con il Pd nazionale che si ritrova in casa un fiore all’occhiello appassito, un cavallo di Troia più che di battaglia. Non c’è bisogno di altri veleni, va ritrovata una solidarietà nella società disgregata e, ora, sembra necessario ricostruire gli aquilani (il tessuto sociale) prima che L’Aquila.