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Data: 18/01/2014
Testata giornalistica: L'Huffington Post
Cgil, sul regolamento sulla rappresentanza si apre lo scontro tra Susanna Camusso e Maurizio Landini

Formalmente, e numericamente, non c’è partita. Il voto del Direttivo della Cgil sul Regolamento sulla rappresentanza siglato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, è finito, ieri sera, in modo plebiscitario: 95 voti a favore dell’ordine del giorno presentato dal segretario, Susanna Camusso, contro appena tredici voti (meno della ventina di cui dispone, in teoria, la Fiom: mancava l’area ’28 aprile’, che fa capo a Giorgio Cremaschi, e quella di ‘Lavoro e Società’, pure critica sull’accordo, guidata da Nicolosi) per l’odg presentato dal segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. Politicamente, e sindacalmente, invece, è un voto che annuncia tempesta.

Infatti, lo scontro tra la ‘confederazione’ Cgil guidata dalla Camusso e la ‘categoria’ Fiom capeggiata da Landini non solo è deflagrato, ma sta per precipitare verso conseguenze –fino a ieri – inimmaginabili. Conseguenze che potrebbero riguardare anche il mondo della politica e, soprattutto, il Pd a causa del nuovo feeling instauratosi tra lo stesso Landini e Matteo Renzi. Con il segretario del Pd spostato, paradossalmente, dalla parte della Fiom visto che, si nota in Fiom, “è lo stesso Renzi ad aver detto che la legge sulla rappresentanza è stato un passo avanti, ma si può far di più e meglio” mentre i filo-democrat cigiellini assicurano: “Il Pd sta dalla nostra parte”.

Chi lavora a contatto di gomito con il segretario cigiellino Camusso nega però in modo deciso conseguenze clamorose e incalcolabili, dopo oggi: “Non possiamo né vogliamo credere che la Fiom si metterà mai fuori dalla Cgil, non ci vogliamo neppure pensare, sarebbe fatto enorme ed assurdo”. Eppure, la minaccia ventilata da qualcuno, durante il Direttivo, sul capo del leader dei metalmeccanici italiani potrebbe finire con uno show-down. Il ‘commissariamento’ della categoria ‘ribelle’ per antonomasia, previo deferimento della Fiom, ove la categoria non si adegui alle decisioni prese, alla commissione Statuto, l’unica legittimata a dirimere le controversie interne alla confederazione. Il risultato sarebbe, in quel caso, scontato: la Cgil ha potere sovrano, rispetto alle categorie, in merito agli accordi, Fiom compresa, come recita una modifica statutaria, introdotta nell’ultimo congresso del 2010: gli accordi interconfederali non possono essere oggetto di discussione, e cioè di non-applicazione, da parte delle categorie. Morale: se la Fiom disapplicasse l’accordo votato sarebbe fuori dalla Cgil.

Conviene, essendo il ‘sindacalese’ materia ostica, spiegare meglio il l’oggetto tecnico del contendere. Tutto nasce dall’accordo interconfederale che regola le norme sulla rappresentanza firmato il 31 maggio del 2013, perfezionato ed entrato in vigore, dopo molti incontri e ‘messe a punto’ l’10 gennaio 2014, tra Cgil-Cisl-Uil da un lato e Confindustria dall’altro.

I contratti, per la Costituzione italiana (art. 39), sono validi ‘erga omnes’: vuol dire che i contratti si applicano a tutti i lavoratori indistintamente. Ma non è mai stata fatta una legge – legge che la Cgil chiede da decenni – per garantire l’effettiva ‘rappresentatività’ dei soggetti che firmano i contratti, anche se sono tante le proposte di legge in merito giacenti nelle commissioni Lavoro del Parlamento. Ne deriva, per fare l’esempio più attuale e clamoroso, che - come è successo nel gruppo Fiat - se la Fiom-Cgil non firma un contratto, si apre un contenzioso infinito, pur se i tribunali danno ragione alla Fiom. Così, la pratica detta degli ‘accordi separati’, e cioè firmati solo dal gruppo Fiat (uscito da Confindustria anche per questo motivo) con alcuni sindacati (Fim-Cisl, Uilm, Uglm e Fismic, cioè ‘tutte’ le sigle tranne la Fiom-Cgil) ha messo la Fiom, e di conseguenza la Cgil, nell’angolo, e per molti anni.

Il Regolamento finale sulle regole della rappresentanza ora in vigore ovvia al problema, introducendo delle regole molto precise e tassative che però la Fiom contesta alla radice, giudicandole “penalizzanti” per i lavoratori. Il sistema individuato prevede un mix tra la certificazione dei consensi dei sindacati (ottenuti dall’incrocio tra numero degli iscritti e voti nelle Rsu), una soglia di sbarramento (5%, come già è, peraltro, nel settore pubblico) e la regola aurea che i contratti siano validi quando e se ottengono il 50% più uno delle rappresentanze sindacali, aziendali o di categoria. Infine, e qui (per la Fiom) casca l’asino, il nodo gordiano: tutti i sindacati, se c’è la maggioranza del 50,1%, devono rispettare “l’esigibilità” di tali accordi, pena sanzioni molto pesanti. Si va dagli “effetti pecuniari” a sanzioni “che comportino la temporanea sospensione di diritti sindacali”. Parole tra virgolette che non erano presenti nell’accordo del 31 maggio 2013, ma che invece sono state inserite e approvate nel Regolamento finale l’11 gennaio. La Fiom si troverebbe, praticamente, di fronte a un dilemma drammatico: firmare accordi che non condivide o venirne esclusa e, con essa, “tutti i lavoratori iscritti alla Fiom, delle Rsu o meno, con un danno incalcolabile per i lavoratori”, si fa notare ai piani alti della Cgil, dove ancora si pensa (ottimismo della ragione?) che la Fiom sarà ‘costretta’ ad accettare e applicare, volente o nolente, la validità dell’accordo. Pena, appunto, “conseguenze inimmaginabili come l’uscita della Fiom dalla Cgil…”.

Landini, però, non ci sta, e ormai sono giorni che ha alzato le barricate. Prima chiede immediatamente la convocazione di un Direttivo, sostenendo che la Cgil ha firmato un accordo ‘a perdere’ senza averne mai discusso. Il Direttivo viene convocato, oggi, ma la Camusso – forte dell’appoggio della segreteria e delle categorie, che le esprimono pieno e totale consenso, dalla Fillea (edili) di Walter Schiavella alla Filctem (che raggruppa elettrici, chimici, tessili) di Emilio Miceli fino alla Filcams (terziario) di Franco Martini, dai Pensionati alla Fibac (bancari) di Agostino Megale – tira dritto e, in buona sostanza, dice: ‘chi non è d’accordo, ora si adegui’.

Tocca a Landini prendere la parola. Due le tesi, esposte in modo ruvido. Uno: “Se questo accordo non viene sottoposto al voto di tutti i lavoratori o almeno degli iscritti della Cgil, noi non ci stiamo e la Fiom (che, riunito il suo Comitato centrale, ha detto con 106 voti su 120 membri, sì a Landini, ndr.) non si sente vincolata da questa intesa”. Due: “Se questo accordo vuole essere un modo per limitare l’autonomia contrattuale delle categorie e della Fiom, allora si faccia una discussione esplicita dentro la Cgil”, concludendo con un minaccioso: “Io rispondo agli iscritti e non a voi”. Uno scontro, quello che si è aperto oggi, che non potrà non avere drastiche conseguenze anche sul prossimo congresso (il XVII) che la Cgil celebrerà, a maggio, a Rimini. Un congresso che, in teoria, doveva essere ‘unitario’, con Landini che ha già sottoscritto il documento a prima firma Camusso (e la firma di Landini non è neppure più ‘ritirabile’…), ma che – se queste sono le avvisaglie – sarà un duro congresso di scontro tra Fiom e Cgil.

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