ROMA «Mi sono vergognato, quell'incontro non andava fatto ed è stato un errore politico». All'indomani del summit tra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale, l'ex viceministro Stefano Fassina è il primo esponente di spicco della minoranza del Pd a promettere battaglia al segretario. E visto che il giudizio non è solo sul merito, si capisce che i fucili sono puntati. Da “militante” Fassina lancia la sfida e chiede che siano gli iscritti a pronunciarsi, a dire la loro sull'accordo siglato e sulla possibilità che il Cavaliere decaduto che si appresta ad affrontare la pena degli arresti domiciliari, possa risorgere come afferma il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari. Il fronte è però destinato ad andare oltre l'aspetto simbolico. La fronda non è solamente quella che verrà allo scoperto oggi alla direzione del partito ma si prepara a farlo in Parlamento. Oltre i numeri che sono e resteranno schiaccianti a favore di Renzi, questo è ciò che peserà maggiormente alla riunione di questo pomeriggio nella grande sala del Nazareno. Il sindaco ha sempre saputo che diventare segretario e conquistare il Pd con un'ampia maggioranza non sarebbe bastato. L'incognita ora sono i gruppi parlamentari eletti con una maggioranza più vicina all'ex segretario Bersani e alla minoranza e che ora potrebbero mettersi di traverso davanti all'accordo con Berlusconi. «Ascolteremo i contenuti di questo eventuale accordo, poi si voterà e la palla passerà ai gruppi parlamentari», ha puntualizzato Fassina, avvertendo senza troppi infingimenti che la legge elettorale deve passare per le aule di Camera e Senato e che non basta incontrarsi due ore sotto la foto di Fidel e Che Guevara. «Sbagliate le liste bloccate e la rinuncia al doppio turno, la partita Berlusconi-Renzi finisce due a zero» è il giudizio molto netto del bersaniano Alfredo D'Attorre facendo capire che da quella parte non ci saranno sconti. Un pezzo di minoranza parte dunque agguerrita mentre per l'altro pezzo, la corrente dei giovani turchi di Orfini e Orlando aspetta di vedere le carte e il testo che Renzi porterà all'esame della direzione. La «profonda sintonia con Forza Italia» che il segretario ha diramato pochi minuti dopo l'incontro è la preoccupazione che sta in cima a Gianni Cuperlo, presidente dell'assemblea e leader ufficiale della minoranza dei Democratici. Molto critico nel metodo, teme che per fare la legge elettorale e le riforme il Pd debba pagare un «prezzo tropo alto, quello di resuscitare politicamente chi abbiamo combattuto negli ultimi 20 anni». Bicameralismo, riforma del Senato, nuova legge elettorale, «bisogna vedere cosa ci scrivi» è il punto d'attacco alla strategia renziana del presidente Pd che teme che il segretario si presenti alla direzione di questo pomeriggio con una proposta “prendere o lasciare” mettendo il partito davanti al fatto compiuto. L'offensiva è lanciata, la rottura molto probabile perché la sinistra non è tranquillizzata dai segnali di apertura che arrivano dal premier Letta. Già perché mettere al sicuro il governo grazie ai tempi lunghi delle riforme costituzionali, non basta. Nella legge elettorale lo snodo più importante sono le liste bloccate e l'assenza delle preferenze. È il “Porcellum truccato” che la minoranza del partito non vuole avallare in nessun modo, perché potrebbe essere l'arma del segretario per azzerare ogni dissenso. Perciò stanno già preparando le barricate prima al Nazareno e poi nelle aule parlamentari dove si annuncia battaglia durissima. La riforma del voto deve ancora approdare alla Camera ma i riflettori sono già puntati sugli scogli del Senato, con Alfaniani e centristi determinanti, e dove l'intesa tra Renzi e Berlusconi potrebbe infrangersi.