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Data: 21/01/2014
Testata giornalistica: Il Centro
Renzi: entro maggio la legge elettorale. La direzione approva con 111 sì?e 34 astenuti, scontro con Cuperlo Il segretario e il Cavaliere: «Con chi avrei dovuto parlare, con Dudù?». La novità: doppio turno contro le larghe intese

ROMA «Stiamo cercando di recuperare la dignità perduta. Ricordate che non state votando sulle proposte del segretario, ma su quelle su cui hanno già votato 2 milioni di elettori alle primarie». Sulla legge elettorale, Matteo Renzi si gioca il tutto per tutto e dopo aver raggiunto un accordo anche con Angelino Alfano, illustra alla direzione del Pd il suo “Italicum” che non prevede le preferenze ma liste bloccate molto corte e un eventuale doppio turno tra le coalizioni che non riescono a raggiungere la soglia del 35% e non possono incassare il premio di governabilità del 15%-18%. L’obiettivo è quello di giungere entro maggio all’approvazione definitiva. Ma la minoranza del partito guidata da Gianni Cuperlo prova a mettergli un bastone tra le ruote e parla di una riforma «non convincente e con profili di dubbia costituzionalità». Ma Renzi respinge gli attacchi, sfida la minoranza, ricorda che l’ “Italicum” «consente al Pd di potersi giocare la partita per il governo» e alla fine ottiene un risultato pieno: la direzione approva con 111 sì, 34 astenuti e nessun voto contrario la proposta di riforma elettorale. E per raggiungere questo risultato, il ministro delle Riforme, Dario Faranceschini, ha dovuto indossare i panni del grande mediatore: «Il valore di un nostro segnale unitario deve prevalere sui dubbi che ciascuno può avere...». Al Nazareno, insomma, è stata evitata una clamorosa spaccatura, nonostante i duri attacchi di Cuperlo. «La riforma elettorale non risulta ancora convincente perché non garantisce né la rappresentanza adeguata né il diritto dei cittadini di scegliere gli eletti né una ragionevole governabilità» attacca il presidente del Pd, che chiede al segretario di portare al 40% la soglia di accesso al premio di governabilità e fa notare che le primarie non possono essere un optional: «O si prevedono per legge primarie per la scelta dei candidati in Parlamento oppure dire che si fanno le primarie per compensare all’assenza delle preferenze non è assolutamente sufficiente». Ma Renzi respinge gli attacchi e tira dritto: «Questa non è una riforma “a la carte”. O si fa tutto il pacchetto o viene meno l’accordo». Poi, parte una freccia avvelenata verso Cuperlo. «Accetto la critica sulle preferenze da chi, come Fassina, ha preso 12 mila preferenze. Non è accettabile da chi (come Cuperlo n.d.r.) non ha fatto le primarie. Non lo accetto» si infuria il segretario, che davanti alla direzione prende l’impegno di fare le primarie per la scelta dei candidati e difende fino in fondo la scelta di aver cercato un accordo con Berlusconi e di averlo siglato nella sede del Pd. E se qualcuno ha provato «imbarazzo», Renzi spiega che non aveva scelta perché Berlusconi è stato votato da milioni di italiani ed è il leader del centrodestra. «Esprimo a Berlusconi gratitudine per aver accettato di venire alla sede del Pd. A quelli che mi dicono dovevi parlare con Fi ma non con lui rispondo che è una contraddizione in termini perché parlare con Fi significa parlare con lui. Con chi dovevo parlare? Con Dudù?» si domanda Renzi, che prova a tranquillizzare la minoranza. «Facciamo un accordo sulle regole con Berlusconi per non doverci fare un governo in futuro» spiega il segretario, che punta a presentare entro il 15 febbraio il disegno di legge costituzionale sulla riforma del Senato per arrivare entro il 25 maggio alla prima lettura di Palazzo Madama. Sulla legge elettorale, Renzi ottiene un preziosissimo disco verde da Alfano, che promuove l’impianto della proposta ma boccia le liste bloccate: «Le nostre indicazioni strategiche e fondamentali per la governabilità sono state accolte. Rimane invece irrisolto il tema del Parlamento dei nominati. Ma su questo, continueremo a dare battaglia nel Parlamento e nel Paese». Il malumore, insomma, è trasversale. Ed anche da Scelta civica arrivano distinguo. Il segretario, Stefania Giannini, vuole un vertice di maggioranza e punta ad alzare al 40% la soglia di accesso al premio di maggioranza.

La novità: doppio turno contro le larghe intese

Premio di maggioranza: a chi ottiene il 35 % dei voti un bonus del 18% Altrimenti ballottaggio tra le due coalizioni. Liste “corte” e niente preferenze

Sbarramento al 5% per le liste che fanno parte di una coalizione Soglia all’8% per i partiti che corrono da soli Introdotti criteri contro le “liste civetta”

ROMA Un collegio unico nazionale con ripartizione dei seggi sulla base di mini-liste bloccate di sei candidati per circoscrizione, un premio di maggioranza fino a un massimo del 18% alla lista o coalizione che incassa almeno il 35% dei consensi e, in mancanza di un risultato utile al primo round, un turno di ballottaggio per stabilire chi governerà. L’Italicum di Matteo Renzi, ispirato al modello spagnolo con correzioni in salsa tricolore, è un metodo proporzionale che attribuisce a chi vince un risultato utile che va dal 53 al 55%. Il segretario Pd, incassato il via libera della direzione, preme sull’acceleratore, con l’obiettivo di presentare domani il ddl alla Camera. «A febbraio si può approvare in prima lettura. Poi passerà al Senato» per essere approvata «entro maggio». Premio di maggioranza Alla lista o alla coalizione di liste che abbia superato il 35% dei consensi viene attribuito un premio di maggioranza pari al massimo al 18% del totale dei seggi. Non è possibile ottenere un numero di seggi superiore al 55%. L'eventuale parte del premio eccedente viene redistribuita fra le altre liste o coalizioni. La soglia del 35% è uno dei punti più controversi: «Il meccanismo del premio serve a garantire la governabilità – ha detto Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta – ma deve essere ragionevole, ha detto la Corte, per non alterare la rappresentanza. Attribuirlo a chi prende il 35% significa prevedere una soglia troppo bassa. Nei progetti preparatori, il dubbio era tra 40 e 45%». Turno di ballottaggio Qualora nessuna lista o coalizione raggiunga la soglia, è previsto il ballottaggio fra le prime due liste o coalizioni, senza possibilità di apparentamenti per il secondo turno. Questa seconda fase della corsa non si svolge tra due candidati premier, ma tra due coalizioni, simboli o agglomerati di simboli «che rigiochino la partita», con un premio di maggioranza al 53% per chi vince. Soglie di sbarramento La proposta di Renzi prevede una soglia al 12% per le coalizioni, al 5% per le liste coalizzate e all'8% per le liste non coalizzate, limiti che rischiano di mettere fuori gioco i partiti più piccoli. Per il segretario Pd è una necessità: «Diciamo no al potere di ricatto dei partitini». Vengono anche introdotti criteri per evitare il fenomeno delle “liste civetta”. Liste corte e bloccate I seggi vengono distribuiti su circoscrizioni molto piccole (da 4 a 5 seggi in palio al massimo), in modo che i nominativi dei candidati possano essere stampati sulla scheda. Dunque niente preferenze. La Corte costituzionale, infatti, ha bocciato le liste interminabili previste dal Porcellum, ma ha aperto a listini ridotti (come quelli spagnoli), dove «il numero dei candidati è talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi». Vale l’ordine di presentazione in lista ai fini dell’attribuzione dei seggi, utilizzando criteri che garantiscano pari opportunità, secondo lo schema uomo-donna-uomo-donna: «È chiaro che se ne passano tre, il terzo non è che possiamo mandarlo a Casablanca» ha scherzato Renzi. L’eliminazione del Senato Alle prossime elezioni, secondo Renzi, «non si voterà più per il Senato»: la Camera alta si trasformerà in una Camera delle Autonomie che non voterà più la fiducia al governo. Il bicameralismo perfetto verrà superato con l’eliminazione dell’elezione diretta dei senatori e delle indennità. Entro metà febbraio, ha annunciato Renzi, sarà presentato il ddl costituzionale per la riforma del Senato. Prevista inoltre, la riforma del titolo V della Costituzione per semplificare il ruolo delle Regioni, oltre all’eliminazione delle Province (già in Parlamento con la legge Delrio): il "pacchetto" secondo Renzi «produrrà un miliardo di euro di risparmio sui costi diretti della politica».

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