Il clamore legato alla riforma della legge elettorale ha finito per mettere quasi in secondo piano gli altri due elementi del “pacchetto Renzi” che il neosegretario PD sta portando avanti a tempi di record. Prescindendo dalla riforma del Senato, per il settore dei trasporti e delle infrastrutture, è evidente che il terzo elemento del “pacchetto”, la riforma del Titolo V della Costituzione, rappresenta l’iniziativa legislativa più importante.
Il documento preparato da Renzi presenta l’affermazione secca che “la riforma del Titolo V deve prevedere l'eliminazione della materia concorrente”, ma questa indicazione deve riempirsi di contenuti, soprattutto per quanto riguarda la materia delle reti infrastrutturali di trasporto e di energia. Sarà importante verificare come le indicazioni verranno tradotte nel dettato legislativo, ma è evidente fin d’ora che si tratta di una rivoluzione che non è affatto esagerato definire storica.
Anche se è ancora presto per ritenere che venga definitivamente messo in soffitta il potere di interdizione delle Regioni (e, a cascata, delle amministrazioni locali), la riforma produrrà comunque un effetto certo: recuperare allo Stato un potere di programmazione su settori decisivi come le infrastrutture e l’energia e, soprattutto, sveltire gli iter procedurali per la realizzazione di opere considerate di preminente interesse nazionale.
Anche il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha recentemente definito “inaccettabili” i tempi previsti – ad esempio – per la realizzazione di un’opera come l’Alta Velocità-Alta Capacità Napoli-Bari. E, a prescindere dalle questioni finanziarie (certamente non di poco conto), è parimenti discutibile lo stallo riguardante la realizzazione della nuova linea ferroviaria Venezia-Trieste, per non parlare di molte altre opere.
E’ evidente che tutto ciò non può tradursi in un semplice ritorno all’indietro e a una riproposizione pura e semplice del ruolo dello Stato “centralista”. Probabilmente (e sarebbe ovviamente opportuno), una semplificazione del quadro decisionale sarà accompagnata da altri provvedimenti più volte richiesti e in parte anche annunciati e progettati, vale a dire l’introduzione di meccanismi di coinvolgimento delle popolazioni locali e di trasparenza dei percorsi decisionali (il famoso “debat public” o, addirittura, forme di vera e propria consultazione referendaria).
Rimane, in ogni caso, l’enorme importanza di una riforma che restituisce un ruolo programmatorio e decisionale allo Stato, che faremmo bene a non considerare più un’entità astratta, ma ciò che effettivamente è, vale a dire l’espressione di una volontà collettiva. E, per chi ricorda gli eccessi del passato anche in campo infrastrutturale, sarà bene riflettere che il mondo è talmente cambiato da non consentire ritorni all’indietro: non lo consentono la scarsità di risorse, non lo consente l’urgenza di trasformare l’Italia in uno Stato moderno, anche e soprattutto nello sviluppo di quelle reti che oggi costituiscono il presupposto indispensabile di qualsiasi tipo di crescita.