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Data: 23/01/2014
Testata giornalistica: Il Tempo d'Abruzzo
Ecco la città che non vuole più un «dimissionario seriale»

L’AQUILA Strana città quella dell’Aquila. Fatta di silenzi, di rumori, di odori. Una città che è tutto e il contrario di tutto, dove la lentezza nella ricostruzione è palpabile camminando per le vie del centro, dove la vivacità di qualsiasi città è nel traffico lungo le strade e nel chiacchiericcio dentro il centro commerciale.

Corso Federico II e piazza Duomo, poco prima dell’ora di pranzo lasciano il posto ai cantieri, al rumore dei martelli, del metallo delle impalcature. Rumori interrotti, a ritmi regolari, dal suono di qualche campana. Persone poche, che camminano veloci, che non si riconoscono in quella città ferita. Qualche bar aperto si improvvisa ristorante e l’odore di sugo e di carne si confonde con quello del cemento appena uscito dalle impastatrici. Poi, all’improvviso, la città cambia. Ma è solo un’illusione. Sono i dipendenti di Prefettura e Banca d’Italia che escono per la pausa pranzo. E la città sembra viva. Si fermano e accettano di giudicare la vicenda Cialente. Commenti negativi di chi vorrebbe più concretezza. «Siamo abituati al sindaco che minaccia, che urla ma che è pronto a fare tre passi indietro per mantenere una situazione che non giova a nessuno», sottolinea Marco mentre corre a farsi un panino. Tutti in fila per un pezzo di pizza con prosciutto crudo tagliato a mano. I colletti bianchi sono la vera ricchezza dei pochi locali che vogliono far sentire la loro presenza nel centro storico derelitto. «Dobbiamo rassegnarci a tenere ancora Cialente - commenta un suo collega - il problema di fondo non è politico, noi vogliamo la ricostruzione, vogliamo poter tornare nelle nostre case. Aggregati e condomini sono ancora in alto mare. E assistere a questi teatrini politici con la regia di Cialente non ci interessa. Le dimissioni erano senso di responsabilità». Ma ci sono anche attacchi più duri. «Il sindaco non ha difeso il territorio - racconta Rosa - in passato ha saputo solo attaccare l’operato di Chiodi quando era commissario. Ha voluto che la ricostruzione passasse per le sue mani, come il bambino che si impunta per un giocattolo. Quanto il giocattolo è stato nelle sue mani si è rotto, e lui ha dato la colpa agli "amichetti". Anziché passare il tempo su facebook a lamentarsi doveva lavorare». Ma anche chi critica Cialente non vede alternative a lui. «La città non sopporta più i suoi piagnistei - afferma Carlo - prima di rientrare in banca - ma la città ha avuto l’opportunità di cambiare sindaco, eppure non lo ha fatto. L’opposizione non è stata capace di mettere in campo un’alternativa valida, di proporre un discorso diverso per la ricostruzione di una città terremotata e di tanti cittadini ancora storditi nella loro vita quotidiana. Cialente non ci piace ma sono sicuro che vincerebbe ancora le elezioni. Allora c’è qualcosa di sbagliato alla base di tutto. La città vuole uscire da questa situazione. Non vogliamo apparire in Italia come ladri, corrotti. Abbiamo bisogno di serenità e di impegno nei lavori di ricostruzione». Un’ora passa in fretta e dopo l’appuntamento per il caffè al bar Nurzia gli impiegati tornano in ufficio e il centro torna a essere ombra di se stesso. La leggera pioggia fa scappare anche gli operai. Dai rumori al silenzio il passaggio è breve. La città torna a essere fantasma.

Pochi chilometri, fatti di traffico e di rotonde e si cambia città. Un volto diverso, un ritornello che si ripete. «Cialente doveva andarsene a casa». Il centro commerciale «L’Aquilone» è uguale a quello di mille altre città. All’interno tanti stranieri, molte donne a fare la spesa. Le solite promozioni di banche, compagnie telefoniche e pay per view. L’Aquila così diversa ma così uguale. «Cialente ha chiamato a raccolta anche l’ultimo sostenitore per trovare la forza e il coraggio di ripensare ancora una volta le sue dimissioni. Eppure si è accorto che in piazza a sostenerlo non scende più nessuno. È un uomo solo, la gente vuole altro dalla politica. Se ne renda conto», questo l’appello accorato di Lucia.

A sostegno di questa linea che critica e non apprezza Cialente il comitato 3.32. Ilia Antenucci è chiara e dettagliata nella sua esposizione. «Assistiamo al teatrino della politica - racconta - Con queste azioni si cerca di coprire la corruzione che è emersa dalle inchieste, si nascondono le critiche dei cittadii. All’Aquila, al di fuori dell’emergenza sono arrivati cinque miliardi, ma non si sa che fine hanno fatto. Si tocca quotidianamente con mano la miseria economica e il disagio psichico, ma questo poco interessa a chi amministra». Un fiume in piena. «La colpa di Cialente è quella di non aver difeso il territorio - ha aggiunto - pensiamo al progetto case e all’urbanistica contrattata. Ma nessun Prg capace di pensare il territorio. Progetti improbabili come l’aeroporto. Soldi spesi male, uffici presi in affitto e andiamo a vedere da chi, anziché ristrutturare i palazzi comunali». Poi la politica, quella ufficiale, con la senatrice grillina Enza Blundo che giudica il rimpasto un «gioco di prestigio». L’ex candidato sindaco Giorgio De Matteis che parla di «mancanza di legalità fino a oggi in giunta» e che la presenza di Trifuoggi conferma «il far west del passato».

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