PESCARA Il Lazzaro dei Vangeli? Un dilettante rispetto a Massimo Cialente, che pure non può impetrare favori divini, nonostante la gran sacerdotessa Stefania Pezzopane e il gran maestro Giovanni Lolli. A Lazzaro la risurrezione andò a segno una volta sola, ed era già un risultato eclatante per i tempi, visto che sembra non sia riuscito più a nessuno emularlo. Ma Cialente, fuor di metafora, di risurrezioni ne ha inanellate ben cinque, anche se ha fatto tutto da solo: si è dimesso e alla scadenza si è ripreso quel che l’investitura popolare gli aveva consegnato. Tra una dimissione con retromarcia e l’altra, ha esternato e pontificato più dei sacerdoti del Tempio e si è conquistato una fama mediatica cui non è estranea una certa condiscendenza giornalistica dagli aperti riflessi di piaggeria. Anche questo un segno d’altri tempi, per quanto i panegirici siano srotolati con metodi assai più moderni e sofisticati, e forse più subdoli. L’ennesima autorinascita di Cialente con lavacro purificatore ha innescato pasquinate e ironie trasversali, che vanno al di là del ping pong politico e delle scontate battute da un campo all’altro. Proprio la chiave evangelica è stata utilizzata in un’ironica ricostruzione dell’ultima Cialenteide, con tutte le figurine permutate dalle Sacre scritture e ovviamente rimodellate da quel che offre il convento aquilano.
Ecco quindi l’effimera "tricolorata" Betty Leone che si accorge della mancanza della Panda di Cialente e «andò da Giovanni Lolli e dall’altro discepolo, quello che Massimo amava». E quando questi accorre in Comune, «vide e credette». Atmosfere messianiche e lacrime ultraterrene che sgorgano dagli occhietti semprevispi di Stefania Pezzopane. Lei che comunque intona preci di ringraziamento per aver riacquistato il dono della parola e della penna non appena passata la buriana dello «sterminateli!»: anatema biblico contro quei cattivoni del centrodestra, novelli filistei avversi al sindaco delle geremiadi e dei miracoli mancati sull’Aquila e dintorni. Eppure le "apparizioni" sulla terra calpestata da quel sant’uomo che fu Celestino V (al quale il tedesco Joseph Ratzinger ha strappato l’esclusiva della rinuncia) annoverano pii profeti del calibro di Luciano D’Alfonso, che all’Aquila guarda come tappa del suo pellegrinaggio spiritual- politico. La sua Gerusalemme da liberare col saio e con la spada è Palazzo Silone, dove è arroccato il pretuziano Gianni Chiodi. La defezione dall’armata sinistroscudata dell’omerico condottiero Cialente avrebbe messo in forse l’onda d’urto ed è stato allora che il sindaco ex ma non troppo si è visto pregare come Achille dopo lo sgarbo della sacerdotessa Briseide. Ha piegato il ciuffo, ha chiamato come scudiero l’ex magistrato Nicola Trifuoggi ed è rimontato in sella. Dicono abbia portato in Municipio una foto a grandezza naturale di Ennio Flaiano con l’aforisma che è diventato la sua guida spirituale: «Lei non può immaginare quanto io non sia irremovibile nelle mie idee» (anche se Cialente non si spezza ma s’impiega, tanto per rimanere in tema). I suoi penultimatum sono diventati oggetto di battute salaci e di grana grossa e le sue retromarce sono più spericolate di quelle della «prova dell’alce» che tanti dolori costarono alla stella a tre punte della Mercedes. Non è riuscito a ottenere niente di quel che aveva chiesto a destra e manca (al 99% a manca, per la verità) ed è stato considerato niente o punto dai big sui quali aveva scagliato frecce e lai. Le sue lamentazioni gli avevano regalato la ribalta mediatica ma sono state il suo contrappasso.
«Trigilia non è stato né esautorato né dimissionato né ridimensionato»; Letta e Renzi non se lo sono filato; la Curia l’ha esorcizzato in men che non si dica; «Mi hanno riferito - così la lettera apocrifa al 101% messa in rete - che Renzi non mi aveva snobbato; è solo che era già impegnato con Berlusconi. E poi, aveve visto Lolli? Ha rinunciato ad andare a sciare e si è fermato in salopette e canottiera all’assemblea di maggioranza: Giovanni ha risposto al mio sacrificio umano con un sacrificio sovrumano». E ancora: «E la Stefy Pezzopane, che dava dello sciacallo a tutti quelli che provavano a mordermi pur di difendermi! Ho riflettuto che gli sciacalli mordono le carogne. Debbo tornare, mi sono detto, per bloccarla prima che proponga di sterminarli tutti!». Nell’autenticamente falso discorso di reinsediamento, viene attribuito a Cialente che «come sempre le mie dichiarazioni sono lungimiranti e oggi le confermo». San Flaiano, protettore dei disincantati, aveva capito tutto e subito, quando saettava che «ci stiamo abituando a tutto. Ciò che succede è quanto possiamo ripetere, non ci serve altro» e quando osservava sardonico: «prendete una folla e buttatela a caso, ricadrà in cerchio, per adorare chi è caduto nel mezzo e, per questo fatto, la rappresenta». E siccome «la propaganda comincia dove finisce il dialogo», ecco l’apologo del Cialente dimezzato, messo sotto tutela e guardato a vista dai suoi pretoriani che si presentano come i suoi alfieri e numi protettori e non lo perdono di vista. Metti che si dimette di nuovo...
Il sindaco dell’Aquila ricomincia da dove aveva lasciato. Sarà difficile per lui sbandierare la credibilità sminuzzata nel continuo tira-e-molla, il decisionismo dell’indeciso, il rappresentante di una comunità che non aveva bisogno di quel teatrino politico con la trama scontata e senza lieto fine. Era già sotto i riflettori per la rabbia cieca e furiosa di una Natura matrigna e si ritrova a pagare due volte il prezzo. Ma questo, purtroppo, non è uno scherzo.