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Pescara, 25/11/2024
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Data: 29/01/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Legge elettorale accordo vicino: ipotesi premio al 37 per cento (Sondaggio filtabruzzo - Legge Elettorale: Cosa non ti convince?)

ROMA Mentre la diplomazia di Pd e FI è a un passo dall’accordo sull’Italicum, ieri i capigruppo hanno stabilito che il testo arriverà in aula solo domani pomeriggio. Una decisione arrivata nel cuore di una giornata all’insegna dell’incertezza. A cominciare dalla notizia del ritiro degli emendamenti democratici, annunciato di buon mattino dal presidente della Affari costituzionali Francesco Sisto. Il segretario Matteo Renzi, ha spiegato il capogruppo pd Lele Fiano, «ha chiesto che venisse riposta fiducia nelle trattative che lui sta conducendo e nei margini possibili che ha esposto al gruppo», la sera precedente. Ossia: innalzamento al 38% della soglia per il premio di maggioranza, sistema di primarie non obbligatorie, e delega al governo per la compilazione dei collegi.
250 EMENDAMENTI

Punti che corrispondono agli unici emendamenti che il Pd ha lasciato in campo e che, sommati alle richieste degli altri partiti, hanno attestato a 250 le modifiche all’esame della commissione. Il cui lavoro avrebbe dovuto riprendere subito dopo la conclusione delle votazioni in aula, ma che non aveva tenuto conto delle manovre grilline: a colpi di ordini del giorno, i pentastellati hanno dilatato i tempi d’approvazione del decreto Imu-Bankitalia, in scadenza allo scoccare della prossima mezzanotte. Ottenendo l’effetto domino di bloccare anche la commissione impegnata sull’Italicum, ferma all’illustrazione dei primi emendamenti. Dinamiche cui, però, Renzi non intende sottostare: «Adesso tocca al Parlamento. Personalmente non mi farò ingabbiare nelle stanche liturgie della politica tradizionale: le carte sono in tavola, nessuno può bluffare. Se qualcuno vuole far saltare tutto, lo faccia a viso aperto e lo spieghi al Paese», ha dichiarato via web in mattinata. Ora o mai più, insomma, il suo messaggio. Proprio mentre a Montecitorio la conferenza dei capigruppo valutava la possibilità di far slittare a domani l’arrivo in aula (originariamente previsto per oggi) del testo di riforma elettorale. O forse anche più in là, almeno nelle intenzione dei partiti minori: Per l’Italia, Sel, Lega, Fratelli d’Italia e il gruppo Misto hanno infatti scritto alla presidente Laura Boldrini, chiedendo «che ci sia un tempo sufficiente per discutere un tema così importante come la legge elettorale», visto anche che «soltanto il Pd e Forza Italia insistono perché arrivi in aula il 30», ha spiegato Pino Pisicchio, presidente del Misto.
PALETTI DEM

Un’opzione immediatamente rispedita al mittente dal portavoce della segreteria renziana Lorenzo Guerini: «Dobbiamo andare in aula a gennaio, non prendo neanche in considerazione altre date». Gli sherpa dei protagonisti dell’accordo stavano lavorando alle rifiniture, preparando il successivo colloquio telefonico tra Renzi e Silvio Berlusconi. La notizia delle telefonate tra i due leader è arrivata proprio mentre alla Camera si cercava un compromesso sul timing dell’Italicum: alla fine si è deciso per domani, imponendo alla commissione Affari costituzionali un tour de force notturno e una finestra domattina, una volta trascorsa la buriana grillina sul decreto in scadenza. Una corsa contro il tempo, su cui Sisto si è già detto pronto ad abbattere la cosiddetta “tagliola”: «Alla riforma è stata riconosciuta l’urgenza e, dunque, per regolamento non potrò chiedere il rinvio dell’aula. Dove l’Italicum arriverà puntuale, anche senza completare l’esame della commissione, se necessario». Molto dipenderà, dunque, dalla disponibilità di tutti a ritirare gli emendamenti.
E, soprattutto, dalla tenuta dell’accordo tra Pd e Forza Italia, che potrebbe realizzarsi in un 37% sulla soglia del premio di maggioranza. I segnali, anche a tarda sera, andavano in questa direzione. «L’accordo regge», giurava il capogruppo forzista Renato Brunetta. E soprattutto Renzi ha sollecitato il sigillo finale: «E' evidente che anche Berlusconi è a un bivio. Io confido che si possa chiudere rapidamente». Dietro l’angolo, ad attenderlo, l’ipotesi di rimpasto che pure pesa sull’esito della riforma. Con il leader di Ncd Angelino Alfano che ancora ieri ha sollecitato il sindaco fiorentino: «Renzi sostenga il governo, entrandoci con i suoi uomini. Altrimenti, non si può proseguire».

Torna l’asse Renzi-Berlusconi: è l’ultima offerta o salta tutto
Silvio: non puoi chiedermi di più. Matteo: i piccoli non posso mica convincerli solo io. Il ruolo-chiave del Quirinale che ripete: indietro non si torna. Oggi il giorno decisivo

ROMA «Sei stato bravo a vendermi il doppio turno, ma non esagerare. L’accordo l’abbiamo fatto e ora non chiedermi di più perchè ho già i miei in subbuglio». «Nel mio partito, come vedi, non ho problemi. Sono i tuoi amici a mettersi di traverso e se non diamo qualcosa pure a loro, non se ne esce». Il botta e risposta tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi riassume il senso di una giornata ad alta tensione e dai telefoni roventie con il Quirinale che a tutti, e proprio a tutti - minoranza Pd compresa - ha fatto sapere che stavolta «non si torna indietro».
Berlusconi e Renzi si cercano e si trovano più volte nella giornata. Il Cavaliere apprezza la schiettezza con la quale il segretario del Pd arriva subito ai problemi. L’ex premier, che di trattative e affari se ne intende, è convinto che «di Matteo ci si può fidare». Il problema non è però Renzi ma, come dice la Boschi, «i piccoli». Soltanto che «i piccoli» più riottosi - Ncd e Lega - ruotano tutti e due nella galassia berlusconiana. Al punto che Renzi lo dice chiaro e tondo a Berlusconi: «Non posso mica convincerli solo io!».
SCONVOCATA LA SEGRETERIA PD

Tutti e due, sia Renzi che Berlusconi, trattano a distanza. Il Cavaliere chiuso nella sua dimora-ufficio di Arcore in perenne contatto con Verdini e Romani (quest’ultimo nel ruolo di ambasciator-cortese delle ragioni del Carroccio). Renzi resta poche ore nella Capitale, il tempo di un tweet e di un post su Facebook, per poi rientrare a Firenze.«Non mi faccio trascinare nel pantano», confida il segretario prima di salire nuovamente sul Frecciarossa che lo riporta a casa. Sconvocata la segreteria, prevista per stamane, Renzi attenderà da palazzo Vecchio l’avvio delle votazioni in Commissione. «Faremo notte anche stavolta, ma forse potrò dire ”c’ero anch’io”»», sostiene ottimisticamente il lettiano Francesco Sanna prima di entrare nuovamente nella riunione della Prima Commissione.
Da lontano, sindaco ed ex premier, vedranno oggi se salta tutto o se l’accordo regge in quel luogo, il Parlamento, dove né Berlusconi né Renzi - per motivi molto diversi - hanno diritto di poter dire la loro. Eppure i due ieri hanno dato una nuova registrata all’intesa, raggiunta due sabati fa, anche grazie al ruolo svolto dalla presidenza della Repubblica. Aggiustamenti realizzati dopo un lungo tira e molla. Con Berlusconi che non intendeva assolutamente alzare la soglia del 35% dopo la quale scatta il premio di maggioranza, e nemmeno abbassare quel 5% di sbarramento rivendicato dal Ncd insieme alla possibilità delle candidature plurime. Senza contare il pressing della Lega sull’ala nordica di FI, che con il Carroccio governa e amministra ben tre regioni, affinchè si inserisca una norma salva-Carroccio.
RISCHIO INCOSTITUZIONALITÀ

A smuovere la granitica fermezza del Cavaliere sulla soglia del premio di maggioranza ha contribuito non poco il rischio di incostituzionalità che avrebbe un premio di maggioranza al 20% ritenuto troppo ”generoso” rispetto alla soglia del 35%. E’ per questo che il telefono di Lorenzo Guerini alla fine si è intrecciato con quello di Denis Verdini e di Gianni Letta che dal Quirinale è ritenuto interlocutore affidabile.
Non c’è dubbio che ieri mattina la cosa che ha convinto il Cavaliere che «stavolta forse ce la facciamo», è stato il ritiro in blocco degli emendamenti da parte del Pd. I dubbi sulla tenuta del partito del largo del Nazareno Berlusconi li ha avuti un minuto dopo essere uscito dal portone della sede del Pd. Talmente ben impressionato da aver dato mandato ai suoi di fare altrettanto. Più che una prova di forza, visto il sovietico controllo che Berlusconi ha di FI, quella del Cavaliere è stato un gesto di ulteriore disponibilità nei confronti dell’interlocutore. Come dire: torniamo all’accordo fatto e tiriamo diritto perchè se tu non hai paura delle elezioni subito, figurati io. Azzerati i problemi dei due principali partiti, Pd e FI, e affrontato il nodo del premio che potrebbe arrivare al 37-38%, si è iniziato a ragionare dei problemi dei piccoli con Renzi disponibile a venire incontro all’alleato leghista di FI in cambio di un aiuto utile a rabbonire il partito di Alfano e, di conseguenza, salvare il governo. Tra il ritocco al 4% della soglia di sbarramento e le candidature multiple, il Cavaliere preferirebbe cedere su queste ultime, anche se Renzi vorrebbe il 4% in modo da dare anche un segnale a Sel.

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