PESCARA Gianni Chiodi alla fine ha parlato e ha scelto le colonne del Corriere della Sera per confessare quel suo «errore». Una tribuna nazionale, da dove iniziare a «ballare sotto la pioggia» aspettando la tempesta, dice citando Ghandi, «senza fermarsi, perché ho un ruolo da svolgere». Il presidente della Regione ammette di aver passato in compagnia di una donna (non sua moglie) la notte del 15 marzo 2011 nella camera 114 dell’Albergo del Sole a Roma, un hotel con affaccio prestigioso sul Pantheon. Costo della camera 340 euro pagati in contanti, ma poi rimborsati dalla Regione dietro emissione di fattura. Il problema è proprio lì. Perché quella fattura è una delle tante, di varia natura (viaggi, ristoranti, beauty farm) che i pm del tribunale di Pescara Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio contestano a 25 tra assessori e consiglieri regionali indagati nell’inchiesta sulla “rimborsopoli” abruzzese. Ma Chiodi è disposto ad ammettere solo quella «debolezza» umana, che adesso dovrà giustificare innanzitutto alla moglie e alle figlie («ho già parlato con loro, confido nella loro comprensione e spero di tenere unita almeno la mia famiglia»), mentre, parlando con il giornalista Fabrizio Caccia, respinge «amareggiato» il tentativo di farlo passare «per uno che ha fatto la cresta alle spese, che ha chiesto rimborsi che non gli spettavano, e che si è approfittato in tutti i modi del suo ruolo pubblico, del suo potere». Chiodi respinge anche il sospetto che la notte in hotel abbia favorito la donna nell’assunzione di un incarico alle Pari opportunità regionali: «Quello di cui si parla non era un concorso pubblico», dice il governatore al Corriere della Sera, «e quella persona che oggi prende 200 euro al mese per il suo incarico, io non l’ho mai favorita. Il suo curriculum fu valutato da una commissione regionale di cui facevano parte anche i sindacati. E nemmeno la donna che ha dormito con me nella stanza 114 e che per rispetto adesso vorrei tenere fuori, mi ha mai chiesto niente, mai un aiuto, mai una protezione». Chiodi ripeterà queste cose, il 4 febbraio ai magistrati pescaresi, documentando anche che nella fattura erano indicate due persone, ma che «gli uffici hanno dimenticato di decurtare la cifra per l’ospite». Dopo, aggiunge, «parlerò chiaro anche ai cittadini». Sente che dietro «una relazione personale di tre anni fa che diventa pura macelleria» c’è «un obiettivo politico, perché è chiaro che qualcuno mi vuole far fuori. Ma non si illudano i miei nemici, saranno gli elettori a dirmi quel giorno se dovrò andare via». Chi lo dice subito è il Movimento 5 Stelle. Il deputato Gianluca Vacca «rinnova la richiesta di dimissioni di Chiodi, e soprattutto la sua scomparsa dalla scena politica in previsione delle imminenti elezioni». «Ovviamente non giudichiamo la vita privata del Presidente, di Pagano e degli altri assessori e consiglieri», dice Vacca, «ma l'intreccio che si starebbe delineando tra la vita istituzionale e le relazioni personali dei vertici della nostra Regione è sufficiente a chiedere ai coinvolti di farsi da parte e di chiarire la vicenda nelle sedi competenti. La stessa cosa che dovrebbe fare l'imputato Luciano D'Alfonso (prossimo candidato alle primarie del Pd, ndr.)», aggiunge Vacca. Marco Rapino, segretario regionale Giovani democratici e vicesegretario regionale Pd giudica «inaccettabile» la difesa del governatore, «tenendo ferma la distinzione tra le questioni personali e quelle politiche, la Regione Abruzzo continua ad essere umiliata da comportamenti intollerabili, ma che sembrano essere la prassi per alcuni esponenti della maggioranza che governa la regione da 5 anni e 2 mesi». Finora dal centrodestra arrivano solo attestati di solidarietà, ma lo sconcerto è forte.Intanto Chiodi ha annullato tutti gli impegni della settimana, compreso quello di sabato a Vasto con Folco Quilici. Oggi le priorità sono preparare le carte per la convocazione in Procura, e soprattutto difendere la coesione della sua famiglia.
«Ora via la vincitrice del concorso»
Il presidente delle Pari opportunità: non rappresenta le donne che lavorano
PESCARA «Come donne siamo indignate e ci sentiamo offese da quanto si apprende in questi giorni dai media nazionali, pertanto chiediamo a gran voce le dimissioni di colei che risulterebbe coinvolta in questa triste vicenda di cui parlano i media locali e nazionali e di cui ha parlato in un’intervista anche il presidente Gianni Chiodi». A parlare è il presidente della commissione Pari opportunità Gemma Andreini riferendosi alla donna «della stanza 114» che ha dormito con Chiodi e che due mesi dopo ha ottenuto un incarico alle Pari opportunità regionali con nomina del ministero del Lavoro. «Crediamo che non possa affatto rappresentare le donne che ogni giorno lottano per vedere riconosciuti i propri diritti e la propria dignità non barattabile», dice Andreini. «E’ ovvio che colei che sarebbe coinvolta non rende giustizia al serio e rigoroso impegno quotidiano di tutte coloro che sono state nominate nella commissione regionale Pari opportunità e lavorano con impegno e correttezza per educare al rispetto di genere». Il presidente Chiodi è indagto insieme ad altri 24 amministratori nell’inchiesta sui rimborsi indebiti e il 4 febbraio si difenderà di fronte ai pm. Andreini prosegue: «Vogliamo ribadire con forza ed estrema precisione che nessuna delle componenti nominate (nel 2013 dal consiglio regionale) all'interno della commissione Pari opportunità è coinvolta in questa vicenda. Precisazione di date e di nomine non trascurabile poiché stando a quanto riportato dal Fatto Quotidiano di martedì 28 gennaio, la donna in questione sarebbe stata nominata dal Ministero nel 2011, mentre le nomine per la composizione della commissione regionale Pari opportunità sono fatte dal consiglio regionale e risalgono al 14 aprile 2013». Infine, Andreini conclude: «Le componenti della commissione, nominate nel 2013, prendono formalmente le distanze da questa vicenda e dalla donna in questione chiedendo le sue immediate dimissioni e diffidando ad ogni superficiale generalizzazione che lederebbe l'onore e il decoro di persone non coinvolte in questa vicenda».