L’inchiesta sui rimborsi gonfiati in Regione e i risvolti privati che sono emersi a carico del presidente della Regione Gianni Chiodi, gettano una luce quanto meno opaca sulla fine di una legislatura che nei cinque e più anni della sua durata non poteva essere più drammatica. Chiodi è una persona per bene ed è stato un presidente molto presente. Ha gestito un terremoto e una prima difficile fase della ricostruzione. Ha raccolto una sanità disastrata e l’ha portata al pareggio, pur con tutte le mancanze denunciate dalla parte più responsabile dell’opposizione; ha ridotto il debito della Regione. Eppure è bastata una inchiesta minore della procura di Pescara (perché così è nei fatti), per fare emergere tutti i limiti della sua azione. Innanzitutto la debolezza politica. Due esempi per tutti: Chiodi si è fatto imporre dal suo partito uomini non adatti al ruolo (per esempio De Fanis), e ha acconsentito di prolungare senza ragione, se non quella del vantaggio economico dei suoi consiglieri, una legislatura che aveva esaurito ogni sua ragione d’essere. Sono due peccati mortali per chi ha avuto come stella polare il rigore e il merito. Ora l’inchiesta ne sta appannando anche l’immagine pubblica. L’ammissione del suo «errore» gli fa onore, ma in tempi così difficili per i cittadini che governa deve riflettere sull’opportunità di un passo indietro,riservando le forze a riconquistare se stesso e la sua famiglia.