PESCARA «Non, je ne regrette rien!». Non rimpiango niente. Come Edith Piaf, Gianni Chiodi ripercorre con orgoglio i suoi cinque anni e spiccioli alla guida della Regione. «Ho la coscienza pulita. Diciamo sufficientemente pulita, perchè qualche sbaglio lo fanno tutti. Ma nessun abruzzese deve pensare che io abbia fatto la cresta sui rimborsi. Io che ho fatto oltre trecento missioni istituzionali e ho chiesto il rimborso per i pasti solo 69 volte, io che dei 50mila euro annui per spese di rappresentanza ne ho restituiti 45mila nel 2012 e 47.500 nel 2013, soprattutto io che ho salvato l’Abruzzo dai debiti, risanato la sanità e abbassato le tasse. Quando si farà il saldo della mia esperienza si capirà quanto l’Abruzzo deve a me, e non il contrario. Ho parlato con i magistrati, ho chiarito tutto. Mi contestano 29mila euro di rimborsi di 184 missioni, di cui 164 a Roma e le altre tra l’Italia e Bruxelles: erano missioni istituzionali, per gran parte delle quali non ho chiesto rimborso alcuno, ho pagato di tasca mia.
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I magistrati mi hanno ascoltato, hanno letto, sono stati cortesi come in ogni confronto tra istituzioni. Ora rivoglio indietro la mia dignità. Per me è un rischio essere qui, davanti a voi giornalisti, ma l’ho affrontato sicuro di quanto affermo e adesso voi, che avete ascoltato altri e poi scritto quello che avete scritto, ascoltate me e riportate quanto vi dico affinchè gli abruzzesi sappiano che il loro governatore non fa creste sui rimborsi, non è autore di alcun raggiro. Per me è infamante essere accusato di lucrare, di fare la cresta sui rimborsi».
C’è tutta la stampa nazionale nella saletta al pianterreno della sede pescarese della Regione, in viale Bovio. Si sta stipati come sardine, la Rimborsopoli tinta di rosa è una calamita di attenzioni sull’Abruzzo. Chiodi mostra documenti su documenti («Li ho già mostrati ai magistrati, che ho informato della mia intenzione di tenere questa conferenza stampa»), i tasti dolenti sono sempre il biglietto aereo per Washington per sua moglie e la ricevuta della notte romana con la consigliera di parità Letizia Marinelli («Ecco tutte le carte. E’ tutto chiarito. C’è un responsabile delle spese, alla Regione, che controlla. E’ lo stesso delle precedenti amministrazioni, devo fidarmi di lui. Come governatore e commissario sia alla sanità che alla ricostruzione dell’Aquila ho firmato decine di migliaia di atti di pagamento per 15 miliardi di euro, non posso controllare atto per atto, mi fido e firmo»).
E’ smagrito, Chiodi. La tensione di questi giorni lo ha prosciugato, per quanto professi serenità. Sa che sono i risvolti personali svelati dalle inchieste, la sua vita privata ma non più segreta, a fare rumore. Più che i rimborsi, più che le carte che sventola e tra cui fruga per trovare conforto. Reagisce: «Come rientro, la sera, a casa mia? Sereno, perchè ho lì i miei affetti». Ma c’è la vicenda aquilana, incalzano i cronisti, quella dei fondi gestiti dalla consigliera di parità, la stessa donna di quella notte romana da lui confessata: «Non c’entro, la decisione fu del Governo, del Ministero delle Pari opportunità. Anzi, semmai fui io a dividere quei tre milioni per affidarne una parte alla Curia, ed è lì che è intervenuta la Corte dei Conti, non sulla consigliera». E la nomina della Marinelli? «Bene fa la Procura a indagare, non chiedo di meglio. Io non ho favorito nessuno, le indicazioni sulle candidate a quell’incarico si danno collegialmente. Perchè mi chiedete se per motivi di opportunità avrei fatto meglio a tirarmi da parte? Non ero io a dare indicazioni, era una decisione collegiale, ve l’ho detto. La sorella della Marinelli nello staff della Carpineta, dite? Ogni assessore sceglie il suo staff, è un rapporto fiduciario ed è giusto così. Come ve lo devo dire? Io non ho favorito nessuno. Nes-su-no».
Qualcuno parla di sondaggi. La popolarità del governatore indagato è in palese calo. «Per forza, questa vicenda certo non mi aiuta, come negarlo? Mi danneggia. E’ una campagna elettorale già troppo cruenta. Ma la gente mi crederà, mi deve credere». Che nemesi, però: nel 2008 era Luciano D’Alfonso l’indagato, ora le parti si sono invertite. «Attenzione, però: D’Alfonso non è ancora fuori dalle sue vicende giudiziarie». Decisamente non un gran modo di ricambiare il fair play mostrato dall’ex sindaco di Pescara nei confronti dell’avversario oggi in ambasce e con minori certezze di ricandidatura. «Ma per favore. Non scherziamo. Sono certo, certissimo della mia ricandidatura. Ho parlato con Berlusconi. Cosa mi ha detto? Lo tengo per me. Ma non ho nulla da temere». Eppure ieri mattina, nelle stanze romane dove si celebrano le scelte di Forza Italia, non soffiava il dolce ponentino romano che fin qui ha gonfiato le vele di Chiodi. Piuttosto, tramontana: fredda.