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Pescara, 25/11/2024
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Data: 06/02/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Subito a palazzo Chigi. Matteo ora ci pensa

ROMA Non è stato incaricato di nulla, non è stato indicato come premier da nessuno, men che meno dal Colle, ma è come se stesse già facendo le sue proprie consultazioni. Matteo Renzi è alle prese con un bel rebus, il primo grosso ostacolo politico da quando è leader: accettare di guidare lui un governo al posto di Letta, o puntare i piedi, resistere resistere resistere almeno fino alle Europee, e poi si vede? A sera, prima di salire sull’ennesimo treno per Firenze, il leader del Pd ha fatto il bilancio della giornata alla vigilia della direzione di oggi. Su un piatto della bilancia ha messo le notizie in suo possesso, che ai fedelissimi ha spiegato così: i rappresentanti di Ncd, Scelta civica, nonché esponenti della minoranza del Pd a partire da Gianni Cuperlo (incontrato in giornata), sono andati da Enrico Letta a chiedergli di fare un passo indietro, di lasciare il campo ovviamente non per andare alle elezioni ma per dar vita a un nuovo governo. Gli stessi esponenti, e questo è l’altro piatto della bilancia, con l’aggiunta di Forza Italia nonché di settori importanti della società civile a partire da Confindustria (oggi Renzi vede Squinzi prima della direzione) hanno chiesto al sindaco esplicitamente di guidare lui un nuovo governo che faccia le riforme e guidi il Paese «anche fino al 2018». Alla schiera dei supporter pro Renzi premier, si aggiunge a sorpresa Beppe Fioroni: «L’unica strada ormai è Renzi a palazzo Chigi, Enrico ha sbagliato a non combattere, ma dovrà essere un governo nuovo, tutti a casa, a cominciare da Franceschini».
LA TELEFONATA

Il risultato è stato che Letta ha puntato vieppiù i piedi, si è sentito con Napolitano e ne ha ricevuto rassicurazioni. La cosa è venuta a conoscenza del leader dem, che con Letta si è sentito, dopo di che Renzi ne ha tratto delle prime conclusioni. Riassumibili così: «So, vedo, capisco, che tra quanti mi chiedono di andare a palazzo Chigi ci sono tanti miei avversari che vorrebbero stendermi prima del tempo, non sono così bischero da non accorgermene». Il segretario è andato oltre: finché Letta vuole rimanere, resistere, continuare, non è che io Renzi mi metto a tramare, non è tempo di ribaltoni, lo spettro del D’Alema del 1998 aleggia ma non è ripercorribile. Dunque? «Se Letta resiste, non mi si venga però a proporre rimpastini o cose simili», il leader dem non vuole essere identificato con questo governo; ma se la pressione per Renzi premier permane, se continuano i pronunciamenti di varia provenienza perché ascenda a palazzo Chigi, e se Napolitano alla fine si convince, a quel punto non è che il sindaco potrà continuare a oltranza a dire di no, «a quel punto, di fronte a tante pressioni, non si potrà non accettare», ammettono a mezza bocca quelli della cerchia ristretta. Tanto più che lui, Renzi, ha un suo personale piano per far sì che l’avvento a palazzo Chigi non somigli neanche lontanamente a un ribaltone: la sua carta si chiama Romano Prodi, da portare al Quirinale. Come Renzi spiegò tempo fa davanti ai sentori del Pd, «sarà questo Parlamento a leggere il nuovo capo dello Stato», frase che allora apparve sibillina, ma che adesso assume chiarezza speciale. Una soluzione politico-istituzionale per cui Renzi lungi dall’apparire l’uomo dei complotti o dei ribaltoni, è all’opposto quello che promuove il proprio campo e porta al Colle l’esponente più in vista del centrosinistra, «l’unico che ha sconfitto Berlusconi due volte». «Se l’Ulivo me lo chiede, sono pronto a fare il premier», disse allora D’Alema, ed è forse questo l’unico paragone fattibile con la situazione del ’98.

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