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Data: 07/02/2014
Testata giornalistica: Rassegna.it
Contratti e rappresentanza, 2 domande e 6 risposte

Le categorie del pubblico impiego, del commercio e servizi e degli edili a confronto sulla necessità di tutelare nell'azione contrattuale i soggetti oggi esclusi, e sul Testo Unico sulla rappresentanza
Contrattazione inclusiva e rappresentanza
1. L’azione n. 10 del documento congressuale “Il lavoro decide il futuro” rilancia l’esigenza di tutelare e rappresentare nell’azione contrattuale i soggetti oggi esclusi o marginalmente coinvolti. Quali sono le ripercussioni, nello specifico della vostra categoria, dell’adozione di questa strategia?

2. Cosa cambia sul versante della contrattazione inclusiva dopo la firma del Testo Unico sulla rappresentanza?

ROSSANA DETTORI, FP CGIL
1. La contrattazione, come dichiarato proprio nell’incipit dell’azione 10, rappresenta per la Cgil l’essenza stessa della sua identità; l’obiettivo di renderla inclusiva e universalistica è ciò che la nostra categoria persegue concretamente nella sua azione quotidiana. E quando mi riferisco a questo, penso innanzitutto alle decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori precari delle pubbliche amministrazioni per i quali anni e anni di politiche sbagliate hanno sostanziato una cesura nella sfera dei diritti del lavoro, nelle condizioni materiali di vita, nell’esercizio di funzioni essenziali, da quel mondo che i grandi “pensatori” dell’ideologia liberista continuano a chiamare “dei garantiti”. Inclusione nella contrattazione, quindi, deve essere intesa prima di tutto come un ripristino, oserei dire “da paese civile”, di quel principio di uguaglianza violentemente leso da un’idea di “flessibilità” che ha significato una semplice spoliazione di diritti e speranza per i nostri figli. Ma l’inclusività a cui mi riferisco rappresenta per noi anche il filtro attraverso il quale tarare l’insieme degli strumenti di contrattazione: decidere di migliorare l’organizzazione del lavoro di un ambulatorio o di una scuola d’infanzia, vuol dire soprattutto rendere quei servizi più accessibili, più accoglienti, appunto più inclusivi.

2. Come ho già avuto modo di affermare, quel Testo Unico, per ciò che riguarda il lavoro della categoria, cambia il mondo. Lo cambia nei settori pubblici, dove i principi a fondamento interrogano prima di tutto governo e ministri: sono messi a nudo limiti e incompatibilità della controriforma Brunetta con un’idea di lavoro pubblico avanzato. Il governo del sistema, incentrato su democrazia, partecipazione e ruolo delle lavoratrici e dei lavoratori, è cosa totalmente diversa da quelle leggi reazionarie e dannose. Ma, soprattutto, cambia il mondo dei settori privati delle funzioni pubbliche. Anni e anni di accordi separati non legittimati da nessuna verifica di consenso, di contratti pirata gettati nell’agone del sistema solo per fare dumping, referendum e consultazioni su contratti collettivi nazionali di lavoro mai determinanti per la loro validazione, sindacati gialli e associazioni datoriali fantasma: quel Testo Unico spazza via tutto ciò e introduce un sistema di regole che ora va esteso a tutti gli attori. Dal 10 gennaio in poi i soggetti titolati all’azione contrattuale, in primis i datori di lavoro privati, dovranno misurarsi con un’idea di rappresentanza fatta di elementi concreti: numero di iscritti/associati, voti, consultazioni, certificazioni: quel che, insomma, sostanzia una idea di democrazia avanzata e partecipativa. Ed è anche per quel che il paese ha vissuto negli ultimi 20 anni che tutto ciò, a mio giudizio, rappresenta a una vera e propria rivoluzione.

FRANCO MARTINI, FILCAMS CGIL
1. Direi che ciò rappresenta l’asse portante della nostra strategia, poiché i soggetti “deboli” contrattualmente rappresentano la grande maggioranza del mercato del lavoro nel terziario. Ciò è il prodotto dell’estrema diffusione dei contratti di lavoro a termine e part time, il cui uso spesso eccessivo rappresenta la flebile linea di demarcazione fra precarietà e flessibilità. Le ripercussioni sono semplici a dire, più complesse da realizzare. Semplici, perché è chiaro che il baricentro rivendicativo deve spostarsi verso la conquista di tutele al momento inibite alla grande maggioranza, penso ai processi di stabilizzazione occupazionale, alle tutele nella crisi, alla valorizzazione delle professionalità. Difficili a realizzare, non solo per la crisi in atto, quanto per lo strabismo sindacale, frutto di una rigidità culturale ancora troppo prigioniera della tradizione.

2. Quell’accordo è una speranza per la platea del terziario rappresentato dalla Filcams, formata da oltre 6 milioni di lavoratrici e lavoratori. Al momento, se si escludono i nostri settori afferenti a Confindustria, davvero marginali, la stragrande maggioranza vive la contrattazione in un regime di totale discrezionalità, come dimostrano gli ultimi due ccnl del terziario distributivo. Applicare le nuove regole nel nostro mondo equivale a uno tsunami, non solo nella gestione della contrattazione, ma nello stesso modo di essere del sindacato. Basti pensare ai due pilastri della nuova disciplina, da un lato il voto dei lavoratori e dall’altro la misurazione della rappresentatività: qui vi è veramente molto da inventare e chi si preoccupa dei difetti del Testo Unico dovrebbe piuttosto aiutarci a capire come rendere esigibili quelle conquiste in un mondo assai diverso da quello confindustriale.

WALTER SCHIAVELLA, FILLEA CGIL
1. La crisi di questi anni, soprattutto nelle costruzioni, ha notevolmente peggiorato il livello di tenuta del lavoro regolare, per questo ogni necessaria azione inclusiva per riunificare il lavoro non può che essere accompagnata da un’azione di contrasto del lavoro illegale e irregolare, anche con un’adeguata azione legislativa. In questo quadro, il dibattito sulle ipotesi di contratto unico a tutela crescente va affrontato con attenzione e guardando al merito, uscendo dalla teoria e verificando nella pratica la strumentazione che dovrebbe realizzarne le finalità. Per quel che ci riguarda occorre sapere se e come tale strumento sia accompagnato da efficaci azioni di contrasto all’abuso di falso lavoro autonomo e, soprattutto, attraverso quali strumenti di incentivazione e disincentivazione se ne regolamenti il corretto utilizzo. Sul versante del salario, appare sempre più evidente che dietro le esigenze di flessibilità nell’organizzazione produttiva che fanno da alibi ai processi di frammentazione che stiamo subendo, si nasconda spesso l’esclusivo interesse delle imprese a ridurre i costi a scapito della retribuzione del lavoro. Il tema dell’effettiva sfera di applicazione dei contratti e dei livelli salariali in essi stabiliti va quindi affrontato in questo contesto e l’apertura di una discussione in Cgil sul salario minimo per legge va colta come un’opportunità.

2. L’intesa del 10 gennaio, in coerenza con gli obiettivi e i contenuti degli accordi del 2011 e 2013, consente di dare finalmente esigibilità agli accordi sulla rappresentanza, realizzando uno dei principali obiettivi da sempre assunti dalla Cgil per porre fine alla stagione degli accordi separati. Non condivido per questo le accentuazioni polemiche nel nostro dibattito interno, tanto più se giocate in chiave congressuale. Nel merito, se da una parte resta inalterato lo spazio per l’azione contrattuale delle categorie, dall’altra per il nostro settore occorre che i margini di interpretazione dell’intesa siano adeguati allo specifico produttivo e contrattuale, in particolare del comparto edile, a partire dal tema dei termini di certificazione, dove va evidenziato il ruolo che debbono esercitare le Casse edili, così come va adeguato alla struttura produttiva del settore il peso da assegnare al ruolo elettivo delle Rsu. Senza dimenticare il tema delle modalità con cui nel lavoro frammentato e diffuso si rende effettivamente esigibile il voto, perché più della metà dei lavoratori è impiegato in imprese di piccole dimensioni, dove le tradizionali forme di esercizio della democrazia sono sostanzialmente precluse.

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