PESCARA «C’è una cosa che mi sta a cuore e che vorrei chiedere a Gianni Chiodi come portavoce delle donne e del lavoro che svolgo. Se è vero che la funzione di un presidente della Regione è quella di vigilare sull’attivazione di tutte le politiche, allora Chiodi tuteli anche quelle di genere. Non è una richiesta personale da parte di Letizia Marinelli ma per quello che io rappresento: la parità, il rispetto delle norme di genere, l’assenza di discriminazioni». Ci sarebbe un approccio troppo superficiale dietro il settore di cui si occupa Letizia Marinelli, la consigliera di pari opportunità finita nella bufera per una notte con Chiodi e un incarico ricevuto dopo due mesi. «Non c’è nessun atto presidenziale dietro la mia nomina, non c’è nessun favoritismo ma un curriculum che è stato valutato», dice Marinelli: «Non sono superba ma determinata». A raccontare di un settore che sarebbe preso sotto gamba e in cui, come dice, «gli uomini pensano che pari opportunità significhi solo fare un convegno» è lei, la consigliera sepolta dalle sue carte al quarto piano della Regione in piazza Unione, dai faldoni dedicati a un progetto a cui lavora da oltre un anno ma che probabilmente resterà nel cassetto vedendo sfumare il lavoro per un intoppo tecnico: una firma digitale. Così, dalla consigliera che racconta di non aver più sentito Chiodi, arriva proprio un appello al presidente della Regione: «Vigili sulle pari opportunità, è anche questo il suo compito». Lo scorso anno Marinelli ha iniziato a lavorare al progetto “Strumenti per le pari opportunità” che, come spiega, è nato con due direzioni: «Da un lato era rivolto alle aziende con oltre 100 dipendenti che attraverso un questionario avrebbero dovuto illustrare, ad esempio, la situazione occupazionale, la formazione, l’assunzione di uomini e donne e dall’altro, caso unico in Italia, invitava gli enti – Comuni e Province – ad aderire al protocollo delle pari opportunità affinché potessero essere supportati nelle norme e nella loro applicazione». Marinelli lavora al progetto insieme ad altre persone, lo presenta, striglia le aziende che non inviano il questionario e le avverte di una possibile sanzione. Per il progetto la Regione stanzia in bilancio 80 mila euro. Nel frattempo la consigliera stipula una convenzione con l’Unidav, l’università telematica della d’Annunzio perché, come prosegue, «nonostante sia previsto dalla legge, la Regione non mi ha supportato: non ho avuto il supporto della struttura nella parte telematica, fondamentale per il proseguimento del progetto». Il progetto passa, i fondi vengono stanziati, c’è la determina ma la Regione, attraverso l’assessorato alle Politiche del lavoro retto da Paolo Gatti, fa un osservazione che arriva dal dirigente del lavoro: «A distanza di 8 mesi e con il progetto approvato, mi dicono che manca la firma digitale e fanno una revoca in autotutela. Potevano dirlo 8 mesi prima e non alla fine dell’iter che loro stessi hanno approvato». Marinelli, così, presenta il ricorso attraverso il legale Angelo Tenaglia per l’annullamento della revoca in autotutela dell’ufficio politiche attive del Lavoro e il Tar di Pescara, rigetta il carattere d’urgenza, ma dovrà esprimersi nel merito. Nel frattempo, è fissato al 30 aprile l’invio da parte delle aziende del questionario. «Sono determinata, non superba». «Tutto lavoro perso», dice Marinelli. «E’ chiaro che nello svolgimento del mio lavoro incontro degli ostacoli e a dirlo sono le carte. Quando si lavora per un anno a un progetto che dovrebbe arricchire e portare al rispetto delle norme e tutto si blocca cosa devo pensare? Mi vogliono fare fuori». Assediata dalle tv, coinvolta nell vicenda della «stanza 114 dell’albergo del Sole» e in un incarico su cui farà luce la magistratura, la consigliera si sente «giudicata proprio dalle altre donne e frustrata». «Ma io non sono superba», conclude, «sono solo determinata. Mi dispiace vedere sfumare il progetto e mi dispaice che nelle donne la determinazione venga percepita come superbia».