ROMA Vertice ad Arcore, alla vigilia di una settimana cruciale per definire il destino del governo e della legislatura. Ieri sera Silvio Berlusconi ha fatto il punto con il consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, e pochi altri fedelissimi sulla prospettiva forzista all’avvicinarsi della ridefinizione dell’esecutivo. Che il Cavaliere non disdegnerebbe fosse guidato da Matteo Renzi. Non a caso, ieri, dalle colonne del Giornale, Vittorio Feltri si diceva «curioso» di vederlo alla prova a Palazzo Chigi, per «verificare se egli sia in grado di trasformare i suoi buoni propositi in realtà palpabile». «Le elezioni anticipate non vanno a genio a nessuno», continua Feltri, «Il Cavaliere, pur avendo qualche chance in più del Pd, preferisce attendere ancora un annetto prima di misurarsi col voto politico, al fine di riorganizzare nel frattempo Forza Italia...».
Di certo, il segretario democratico sarebbe un capo del governo con cui Berlusconi potrebbe dialogare meglio di quanto non faccia con Enrico Letta, offrendo un orizzonte di legislatura più ampio che gli garantirebbe il tempo utile a risolvere il problema della sua candidatura, senza contare l’indubbio vantaggio di poterlo logorare ben bene, è la vulgata forzista. La stessa che assicura che Forza Italia mai e poi mai entrerebbe in un esecutivo Renzi: «Esclusa una replica delle larghe intesee», assicurano fonti forziste. Ma, la storia insegna, con Berlusconi nulla è mai certo fino in fondo prima che accada, come pure che gli strappi del Cavaliere avvengono sempre ai tempi supplementari, nell’ultimo minuto utile. Insomma, nulla assicura che in extremis non si proponga come alleato di governo, rivendicando per sé qualche poltrona in cambio del sostegno alle riforme, e incastrando il vertice democratico per picconarlo dal di dentro.
ALLA FINESTRA
Per ora, comunque, Il Cavaliere sta alla finestra, e ha dato mandato ai suoi di non muovere foglia: «La cosa non ci riguarda. E’ il Pd che deve decidere quello che vuole fare», ripetono in casa forzista. Dove, però, non si scommette ancora su Renzi a Palazzo Chigi: la considerazione del leader piddino è alta, come troppo alti appaiono i rischi dell’operazione. «Rimarrebbe incastrato», è l’opinione comune, anche a proposito di un possibile ingresso di suoi uomini nell’esecutivo di Letta (attuale o futuro poco importa), consegnando il sindaco fiorentino a quello che, i berlusconiani ne sono certi, sarà un esperimento fallimentare. Destinato a portare il Paese alle urne, comunque, entro la fine dell’anno. La tentazione del voto, per il Cavaliere, resta forte, anche se le variabili che la condizionano sono molteplici e non si definiranno nel brevissimo periodo, primo fra tutti l’esito delle elezioni europee. Meglio, dunque, concentrarsi sulla prima prova dell’Italicum.
Sabato Denis Verdini ha incontrato a Firenze Maria Elena Boschi, in vista dell’appuntamento con l’aula di Montecitorio, domani. L’ordine di scuderia partito da Arcore per i parlamentari, è di rispettare e difendere il mandato dell’accordo con il Pd fino alle virgole. Se qualcuno tradirà, insomma, non sarà Forza Italia. Ma se il Pd non rispetterà gli impegni, allora sì, si aprirà un’autostrada che porterà il Paese direttamente dentro le urne d’autunno.