Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non nega di aver incontrato Mario Monti durante l’estate del 2011, diverse settimane prima dell’effettiva caduta del governo Berlusconi. Anzi: in una lettera al direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, sottolinea di avere avuto più incontri («e non solamente in estate») con l’allora presidente dell’università Bocconi, del quale aveva grande stima sia per la sua precedente attività di commissario europeo sia per le analisi compiute proprio sulle colonne del Corriere. E per questo, scrive Napolitano, «appariva - e non solo a me - una risorsa da tenere presente e, se necessario, da acquisire al governo del Paese». Accreditare tutto questo come complotto, chiosa il presidente della Repubblica, è dunque «fumo, solo fumo».
LE CONFIDENZE DI DE BENEDETTI E PRODI - L’intervento del capo dello Stato arriva dopo le rivelazioni di Alan Friedman che, raccogliendo materiale per il suo nuovo libro «Uccidiamo il gattopardo», ha raccolto, fra l’altro, confidenze da Carlo De Benedetti e Romano Prodi. Entrambi, durante l’intervista con Friedman, hanno di fatto avallato la tesi che Monti fosse stato allertato su una sua possibile chiamata a Palazzo Chigi già nel luglio di quel difficile 2011, contrassegnato dalla scissione dei finiani dal Pdl , che a febbraio diedero vita a Futuro e Libertà dopo che già dal luglio dell’anno prima si erano costituiti in gruppo parlamentare autonomo, facendo venire meno una fetta considerevole della maggioranza a sostegno del governo Berlusconi; e dalla drammatica congiuntura economica poi fotografata dall’ecalation dello spread fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi. E a entrambi gli episodi Napolitano fa riferimento nella sua lettera, respingendo l’ipotesi che i contatti tra lui e Monti fossero parte di una sorta di «complotto» ai danni del Cavaliere, come ipotizzato per tutta la giornata da esponenti di Forza Italia e del M5S.
LE TENSIONI, LA BCE, L’INCARICO - Napolitano, nella sua missiva, cita espressamente il « logoramento della maggioranza di governo», i «dissensi» tra il presidente del Consiglio, il ministro dell’economia (vale a dire Giulio Tremonti, ndr) e altri ministri», «le dure sollecitazioni critiche delle autorità europee verso il governo Berlusconi» e, infine, la lettera inviata al premier ad agosto dall’allora presidente della Bce, Jean Claude Trichet, e dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi. Nella sua ricostruzione dei fatti Napolitano si sofferma sulla data dell’8 novembre, giorno in cui Montecitorio respinse il rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato. Quella stessa sera Berlusconi salì al Colle e decise di rassegnare il mandato una volta approvata la legge di stabilità. Solo nelle consultazioni successive alle dimissioni del Cavaliere, sottolinea il capo dello Stato, il Quirinale riscontrò «una larga convergenza» sul conferimento dell’incarico a Mario Monti, da pochi giorni nominato («senza alcuna obiezione») senatore a vita.
«FATTI REALI» - Fatti «reali» puntualizza Napolitano, i soli «noti e incontrovertibili», i soli che «costituiscono la sostanza di un anno tormentato», diversamente dalle «confidenze personali» - ovvero le interviste a De Benedetti e Prodi. Che per il capo dello Stato, assieme alla «interpretazione che si pretende di darne in termini di complotto», altro non sarebbero, appunto, che «fumo, soltanto fumo».