MILANO Matteo Renzi sa di giocarsi tutto nei prossimi 100 giorni. Per questo ha scelto il palchetto allestito al Quirinale per la sua prima dichiarazione da premier incaricato per dettare i tempi di quella che spera sia la “honeymoon” del suo Governo con il Paese. Una riforma al mese, ha promesso: a febbraio l'avvio di legge elettorale e riforme costituzionali, a marzo il lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione ed a maggio il fisco. Poi il primo banco di prova, con le elezioni europee e la verifica nelle urne del consenso che Renzi spera di aver nel frattempo maturato. Raccontano che in questi primi tre mesi di governo - sempre che la riserva venga felicemente sciolta - Renzi abbia in mente di attraversare in lungo e in largo il paese, spiegare nelle città il suo programma choc, mettendo la sua faccia su riforme annunciate e scadenze connesse. Ma se Febbraio sarà il mese dell’incardinamento della legge elettorale e delle riforme di Senato e Titolo V, il Renzi One conta in uno scatto ai blocchi di partenza con Jobs act e taglio ai costi del lavoro. Marzo - Lavoro. La riforma per ora è un abbozzo, con una possibile novità: l’archiviazione di fatto dell'articolo 18. Un unico contratto a tempo indeterminato per i neo assunti, in sostituzione del gran numero di contratti atipici esistenti con tutele che crescono all’aumentare della durata dell'impiego. Per un primo periodo sarà prevista la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro prevedendo come indennizzo il pagamento di un’indennità al posto del reintegro. Poi c’è la flexsecurity, il modello danese, dove la protezione sociale per i lavoratori è particolarmente elevata: in Danimarca il trattamento è pari al 90% dell'ultima retribuzione per il primo anno successivo al licenziamento, poi 80% il secondo, 70% il terzo e 60% il quarto. Terzo capitolo, il più difficile, il reddito minimo. Ancora da mettere a punto. Aprile-P.a. Riformare la pubblica amministrazione, nella versione di Matteo Renzi, è prima di tutto ridurne i costi strutturali. Taglio alla spesa delle funzioni apicali della Pa e tetto ai compensi dei grandi commis di stato (max 240mila euro all’anno come il presidente della Repubblica). Un esempio eclatante: il presidente della Consulta, con oltre 450mila euro lordi, guadagna il doppio del capo dello stato e perfino il segretario generale della Consulta viene pagato più del Presidente. Ma riformare la Pa non significa soltanto tagliare i pur ragguardevoli costi (visto che un punto di Pil significa 15 miliardi di euro). E poi arriverà il via libera al licenziamento per i dipendenti della pubblica amministrazione: in forme da definire ma verrà progressivamente abolita questo privilegio che rende difficile l'organizzazione di una Pa efficiente Maggio-Fisco. La riforma più difficile è quella fiscale. Diminuire di un punto le prime due aliquote Irpef (23% fino a 15mila euro, 27% tra 15mila e 28mila euro) costa circa 5 miliardi di minor gettito, tagliare l’Irap di dieci punti per liberare risorse per le imprese altri 2,5 miliardi. Dai tagli alla spesa e ai costi della politica, secondo le ultime ricerche di Confindustria, si possono liberare almeno 1 miliardo di euro. Per i restanti 6,5 miliardi un paio possono essere recuperati dall’ulteriore inasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie, includendo anche i titoli di stato (almeno sopra una certa soglia). Poi c’è il capitolo dell’accordo con la Svizzera che secondo le stime del Tesoro potrebbe far 3 miliardi. Per ora forse si può accantonare l'ipotesi di patrimoniale e sfruttare gli ottimi effetti sulla spesa per interessi della discesa dello spread (almeno 1,25 miliardi di euro)