CAGLIARI Giusto cinque anni fa la Sardegna costò il posto a Walter Veltroni. «Il Pd ha toccato il fondo», titolò l’Unità dopo le elezioni regionali che avevano consegnato l’isola al Pdl. Così, dopo mesi di brutali polemiche interne, l’allora segretario prese la palla al balzo e lasciò la guida del Partito democratico. Ora la Sardegna torna al voto e consegna a Matteo Renzi la prima vittoria da segretario e da premier incaricato. Una vittoria risicata e con qualche ombra, ma per molti versi inaspettata. In ogni caso un buon viatico.
Il nuovo governatore sardo è docente di Economia all’Università di Cagliari. Francesco Pigliaru, 60 anni, non ha tessere di partito, «ma ho sempre votato Pd». Porta la coalizione di centrosinistra al 42,4%. Il suo avversario, il presidente uscente Ugo Cappellacci, si ferma al 39,6 raccogliendo meno consensi dei partiti di centrodestra che lo sostenevano. Tanto da scatenare le crudeli ironie di Renato Soru che nel 2009 si vide scalzato dalla presidenza della Sardegna proprio da lui: «Cappellacci si conferma un formidabile perditore di voti».
IN POCHI AL VOTO
Se c’è un posto dove il disamore per la politica si può toccare con mano è proprio la Sardegna. Alle politiche di anno fa il partito più votato fu quello di Grillo (30%), ma più numerosa ancora fu la folla degli astensionisti (33%). In dodici mesi le cose sono perfino peggiorate. Le inchieste sugli sprechi hanno messo sotto scacco quasi tutti i consiglieri regionali; e i Cinquestelle divorati dai litigi non sono riusciti a presentare un candidato uccidendo le illusioni di chi aveva creduto nel vento purificatore dei grillini. Risultato: l’astensione adesso è al 47%.
Nelle dichiarazioni festanti che accompagnano il suo arrivo nel comitato elettorale di via Bottego, Pigliaru dice che ora il suo compito primario è riconquistare la fiducia perduta dei sardi nei confronti della politica. Più o meno le stesse parole che va ripetendo Renzi riferito all’Italia intera. I due si sentono per telefono non appena la vittoria appare sicura: «Mi ha fatto i complimenti dicendo che sarà bello governare insieme, io a Cagliari, lui a Roma». Insieme dovranno affrontare anche le insidie delle alleanze e del manuale Cencelli.
La scrittrice Michela Murgia, candidata a capo di alcune liste autonomiste intenzionate a catalizzare il voto di protesta in assenza dei grillini, arriva al 10,3%. Percentuale alta, non abbastanza però da entrare in Consiglio e, soprattutto, da danneggiare la sinistra che ha temuto a lungo di poter perdere «per colpa sua». Sull’altro fronte, invece, l’ex pupillo di Berlusconi - Mauro Pili, parlamentare del Pdl fino a novembre poi passato al gruppo misto - con il 5,3% «rubato» per lo più al centrodestra centra l’obiettivo di sabotare Forza Italia (crollata al 18 per cento) e di mutilare le ambizioni di Cappellacci.
Il nuovo governatore, Pigliaru, era stato selezionato in una drammatica notte nel giorno dell’Epifania dopo che le inchieste giudiziarie avevano tolto di mezzo Francesca Barracciu (renziana di ferro) vincitrice delle primarie: «Non ero obbligata a farmi da parte per un avviso di garanzia, ma ho fatto un passo indietro per non danneggiare il Pd». Così venne scelto in fretta e furia l’economista che nel 2005 già era stato assessore nella giunta Soru, ma che dopo due anni se n’era andato sbattendo la porta. Adesso lui e Soru, che nel Pd sardo continua ad avere voce in capitolo, pare abbiano fatto pace. Avevano pure provato a imporre una regola per impedire agli indagati di rimanere fuori dalli liste per «coerenza» col passo indietro della Barracciu. Battaglia persa visto che il Pd di indagati ne ha candidati tre, pagandone le conseguenze: dal 25 per cento di un anno fa è sceso al 22.