ALL'ALBA del 21 aprile 1945 due compagnie della Brigata Maiella, gloriosa formazione partigiana abruzzese, entrarono in Bologna.
Indossavano uniformi inglesi, e molto probabilmente la gran parte dei bolognesi che li accolsero non immaginava si trattasse di italiani che avevano percorso buona parte della penisola a piedi.
Il 20 aprile appena scorso l'amministrazione comunale di Bologna, in testa il sindaco Sergio Cofferati, ha voluto dedicare a quei ragazzi provenienti dall'Abruzzo un parco civico, nel quartiere Savena.
Ho partecipato alla cerimonia di inaugurazione di quel parco, in compagnia di un sempre più sparuto numero di reduci della Brigata Maiella, di quell'unica formazione partigiana d'Italia decorata di medaglia d'oro alla bandiera.
Mancava Domenico Troilo, mancava a tutti. Ma io pensavo a quanto sarebbe piaciuto, a lui, essere presente a quella bellissima giornata.
Non tanto per il valore formale della celebrazione quanto per il significato, ben spiegato da Sergio Cofferati, che poteva assumere l'assegnare un nome a un parco destinato ad essere frequentato da ragazzi. I ragazzi appunto, quelli che prima di non dimenticare devono conoscere.
Ebbe modo di parlarmene e di esprimermi, compiaciuto, quanto apprezzasse iniziative di questo genere.
Non solo il ringraziamento e il ricordo di una comunità ma anche la volontà di trasmettere conoscenza e con essa valori, ideali. Domenico Troilo era mio padre e, come saprete è scomparso da poco più di un mese.
Quel 21 aprile 1945, data della liberazione di Bologna, era la vigilia del suo 23. compleanno. Per anni, ogni volta che ho pensato alla sua età in quell'epoca e al fatto che, con il grado di maggiore, comandasse 1.500 uomini in guerra, rimango per alcuni attimi esterefatto.
Sconcertato, quando li confronto con i miei 23 anni. Poi rammento la sua forza di volontà, il suo coraggio, il suo senso della giustizia. E quello stupore si tramuta subito in orgoglio.
Dalla data della sua morte in molti mi hanno chiesto quale fosse l'eredità morale che mio padre ci lasciava. Pace, libertà, democrazia, solidarietà: questi quattro vocaboli ben sintetizzano tutto ciò in cui egli ha creduto, e per i quali ha lottato tutta la vita.
C'è però qualcosa di più; qualcosa che ne ha determinato le scelte, i comportamenti e i pensieri.
Egli era dotato di una vitalità non comune. Amava la vita in tutta la sua essenza. L'amava anche quando sentiva il peso del trascorrere degli anni e il fastidioso aumentare degli acciacchi fisici.
Anzi, forse l'amava anche di più, e i problemi di salute divenivano per lui solo delle altre battaglie da combattere.
Il suo, però, non era un amore indirizzato verso la "sua" vita. Sapeva guardare la prospettiva e, ogni volta che poteva dare il suo contributo a migliorarla, non si risparmiava. Purché il beneficio fosse di tutti.
La sua vitalità da "ragazzo" entrava spesso in perfetta simbiosi con la vitalità tipica dei giovani.
Adorava vederli uniti, i giovani, nella lotta per le cose nelle quali credevano, e si arrabbiava molto quando li vedeva pigri e malati di quell'individualismo che è purtroppo tipico del nostro tempo. Con loro, con i giovani, ha sempre avuto un rapporto speciale.
Io penso che mio padre fosse molto maturo a 23 anni e molto giovane a 84. Era tanto "vivo" che in molti non ritenevano possibile la sua fine.
Vorrei rassicurarli: egli è vivo, e lo sarà fino a quando tutti noi sapremo cogliere e far nostro ciò che ci ha lasciato.
Come sa bene chi lo ha conosciuto, mio padre non temeva la morte. La combatteva. Come i ragazzi della Brigata Maiella, come i partigiani di tutta Italia.
Rischiava la vita per la vita. Contro la morte. Contro la guerra. Quella che altri, non dimentichiamolo mai, hanno deciso.
La guerra è morte e, come amava dire mio padre, «non è un'esperienza che merita di essere vissuta».
Alberto Troilo (Figlio di Domenico, vice comandante
della Brigata Maiella)