ROMA E' la voce roca, insieme a un filo di emozione che svelano quanto per Matteo Renzi siano state dure le ultime ventiquattrore. Prova a mascherare la fatica e lo stress per la trattativa e le oltre due ore e mezzo di faccia a faccia con il presidente Napolitano ma i segni si vedono tutti. Già, perché chiusa la partita con il Nuovo Centrodestra intorno all'ora di pranzo di ieri ed evitato un altro confronto con Alfano, il premier incaricato pensava fosse cominciata la discesa e di avere davanti solo l'ultima curva del Quirinale. E invece le grane cominciano subito quando dalla sede del Pd fanno filtrare la notizia che il segretario sarebbe salito al Colle alle quattro del pomeriggio. «L'orario deve essere concordato con il Presidente» fanno sapere con una punta d'irritazione dallo staff di Napolitano. Si comincia così con un leggero sgarbo istituzionale e la lista dei ministri, una volta arrivata nello studio del Presidente non scivola via liscia. «Che fatica», ammette il futuro sottosegretario Graziano Del Rio che in questi giorni ha seguito Renzi nelle consultazioni e affrontato una trattativa non facile. «Le due ore e mezza» sono state utili per «poter fare un lavoro parallelo con il presidente incaricato» spiega ai cronisti Napolitano, che riferisce di «ripetuti scambi di opinione e di consigli». Spiegazione soft per fermare quelle ricostruzioni maliziose nate fuori dalla "sala alla vetrata" dove i cronisti hanno atteso per tanto tempo mentre crescevano gli interrogativi. Un tempo utile a valutare quella squadra che ha «un'evidente impronta di novità nei molti nomi chiamati per la prima volta a ricoprire l'incarico di ministri» spiega ancora il capo dello Stato. Parole tranquillizzanti che non bastano ad allontanare i sospetti di una profonda diversità di vedute. Così il Presidente affronta direttamente l'argomento: «Vorrei assicurare i cultori di ricostruzioni giornalistiche a tinte forti che il mio braccio non è stato sottoposto ad alcuna prova del ferro né oggi né ieri». Punto e fine, specie sull'argomento ministero degli Esteri per il quale il Quirinale aveva fatto sapere che avrebbe gradito una conferma di Emma Bonino anche per la necessità di avere una continuità sui numerosi dossier aperti, non ultimo quello delicatissimo dei due Marò messi a processo dalla giustizia indiana. Renzi voleva il nuovo e ha tenuto il punto su Federica Mogherini mentre ha ceduto sulla nomina di Nicola Gratteri alla Giustizia. Meglio non fare confusione sulla divisione dei poteri, segnalava il Colle, un magistrato Guardasigilli poteva essere un'anomalia. Così si è andati avanti con le verifiche, squadra giovane sì, ma che sia inattaccabile dal punto di vista istituzionale, anche se Napolitano non ha mancato di rilevare che le nomine secondo il dettato Costituzionale sono fatte dal Presidente della Repubblica «su indicazione del primo ministro» cui è intestata la responsabilità delle proposte. La partita non è stata semplice anche perché nei "consigli" partiti dal Colle nelle ultime quarantotto ore c'era quello di non tirare troppo la corda nella trattativa con l'alleato Alfano. Fino a ieri mattina invece, seppure smentiti, erano partiti dai due partiti gli aut aut, fino alla minaccia di arrivare alla rottura dietro la quale si vedevano solo le elezioni anticipate. O vicepremier o ministero dell'Interno ha detto Renzi al suo alleato. Lui ha scelto, ma voleva pure l'assicurazione scritta sulla durata del governo, la garanzia che le riforme costituzionali sono strettamente legate alla legge elettorale. Dal podio quirinalizio alla vetrata c'è stata la doppia promessa di Renzi e Napolitano sulla data al 2018. E l'esecutivo può prendere il largo.