ROMA «Adesso si fa semplicemente tutto quello che abbiamo promesso». Messi alla porta fotografi e giornalisti con due robuste scampanellate, Matteo Renzi apre il primo consiglio dei ministri con a fianco colui che di lì a poco nominerà sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Si comprende subito che Graziano Delrio sarà vicepremier di fatto di un governo che l’ex sindaco di Firenze non vuole dividere «tra vecchi e nuovi» perché «qui siamo tutti una novità». L’assenza di Pier Carlo Padoan, prossimo ministro dell’Economia ancora in viaggio dall’Australia, si avverte e trasforma il consiglio dei ministri in una giunta comunale. Anche perché il programma dei cento giorni che Renzi ha riassunto ieri deve ancora passare alla verifica delle compatibilità di via XX Settembre. Compreso il taglio dell’Irpef che resta una delle priorità.
SPRONARE
«E’ stato un consiglio d’amministrazione più che un consiglio dei ministri», sostiene Gianluca Galletti, neo ministro all’Ambiente che evoca l’indimenticabile sindaco Guazzaloca: «Prima faremo le cose e poi le annunceremo». «Non possiamo sbagliare perché su di noi ci sono aspettative molto alte», ha ribadito il neo premier che sa di giocarsi questa partita avendo il sostegno di tanti e lo scetticismo di molti. Il segretario del Pd ne è consapevole ed è per questo che sprona i neo ministri a «mandare subito a memoria» i dossier aperti che troveranno nei rispettivi dicasteri. La velocità resta la caratteristica del neo presidente del consiglio che è consapevole che con altrettanta rapidità verrà giudicato per le promesse mantenute. Domani in Parlamento dovrà spiegare al Paese perché ne è valsa la pena di cambiare il governo mettendo alla porta Letta. L’amarezza di Renzi per la freddezza con la quale l’ormai ex premier gli ha passato le consegne, non ha intaccato l’umore. Semmai ha reso ancor più evidente come il suo governo sia atteso alla prova dei fatti.
La «riservatezza» chiesta ai suoi ministri è il segnale di come Renzi intenda lavorare «in squadra» con assoluto pragmatismo. Lo stesso che gli ha permesso di mettere nella sua squadra un ex esponente di Confindustria, Federica Guidi, e il presidente delle Coop Gianluigi Poletti. Un «pragmatismo alla Blair, sostengono i renziani di più stretta osservanza, quelli alla Lotti e Guerini che non si sono messi in fila per un posto da sottosegretario. Il timing delle riforme annunciate resta invariato e verrà confermato domani alla Camera nel discorso di investitura.
CHOC
La bozza del discorso è già pronta. Così come è pronto il programma, con tanto i scadenze, che verrà depositato a parte e che rappresenterà il manifesto del renzismo. «La gente dimentica come si è arrivati al potere ma non perdona se viene utilizzato male». Un mantra per Matteo Renzi che domani sciorinerà la sua road map sottolineando che questa è «la sua smisurata ambizione» e forse l’ultima occasione che ha il Paese per cambiare. Nel discorso non mancheranno i segnali forti sul taglio dei costi della politica, sulla riforma del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione. Nodi che intende affrontare subito di petto perché cento giorni passano in fretta e le elezioni europee arrivano anche prima. Provvedimenti choc come la riduzione dell’Irpef di un punto per i redditi più bassi e per le prime due aliquote (23 e 27) e il taglio del cuneo fiscale che verrebbe compensato dall’aumento delle rendite finanziarie e dalla spending review e la riduzione dell’Irap per le aziende che assumono giovani.
Un ambizioso programma di politica economica necessario per convincere l’Europa ad allentare i cordoni della borsa che coinvolgerà anche la pubblica amministrazione nella quale i ruoli di dirigente non saranno più a tempo indeterminato e i manager potranno essere licenziati senza più gli esosi esborsi degli ultimi tempi. Un capitolo a parte, ma strettamente connesso alla parte economica del programma, verrà dedicato alle riforme istituzionali e alla legge elettorale. La riforma del titolo V rappresenta infatti per Renzi uno dei bacini per contenere la spesa pubblica riportando sotto il controllo statale molte delle competenze trasferite alle dissipatrici finanze regionali. Come promesso la legge elettorale verrà approvata subito alla Camera con un emendamento che probabilmente la confina alla sola elezione dei deputati in modo da attendere che la cancellazione del Senato la renda pienamente operativa.
Il piano per tagliare l’Irpef e l’Irap sul tavolo di Padoan
In cantiere la riduzione di un punto delle due aliquote più basse: previsti fino a 400 euro l’anno in busta paga
ROMA Il taglio secco dell’1% sulle due aliquote Irpef più basse sarà il primo dossier da aprire per il neo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Insieme a quello della sforbiciata all’Irap per le aziende che assumono giovani e al taglio del cuneo fiscale, da compensare con l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie e la spending review. Un pacchetto rotondo di interventi già messo nero su bianco nel discorso che il premier Matteo Renzi leggerà alle Camere tra domani e martedì. Nel dettaglio, l’intervento sull’Irpef farebbe calare dal 23% al 22% la prima aliquota (quella fino a 15.000 euro) e dal 27% al 26% la seconda (fino a 28.000 euro). Un’operazione da circa 5 miliardi che ha l’obiettivo di far guadagnare fino a 400 euro l’anno in più a chi guadagna 1.200 euro al mese (25.000 euro lordi). Con un aumento netto dello stipendio di quasi il 5%.
Pronti, via, dunque con il fisco. Ma è fittissima l’agenda di Padoan di ritorno da Sydney dove stava prendendo parte ai lavori del G20. Visibilmente affaticato dal lungo viaggio, Padoan ha trovato una scorta della guardia di Finanza ad attenderlo alla scaletta del Boeing 777 della Emirates atterrato ieri a Roma in serata. Un giaccone scuro su una camicia con il colletto slacciato, ma nessuna voglia di rilasciare dichiarazioni prima di infilarsi in fretta in auto. Ad aspettarlo oggi c’è il giuramento nella mani del Presidente della Repubblica, il cambio della guardia con Fabrizio Saccomanni, il primo incontro con Matteo Renzi. E poi due colloqui con il commissario alla spending review Carlo Cottarelli e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, prima del tour de force per assumere il timone della politica economica. Primo passaggio già dichiarato: mettere la testa sullo stato dei conti pubblici. «Farò una due diligence», ha spiegato ieri il nuovo titolare di Via XX Settembre che a tal proposito, nelle prossime ore, incontrerà i vertici del ministero dell’Economia. A cominciare dal Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco.
LA RICOGNIZIONE
Gli ultimi dati ufficiali risalgono alla nota di aggiornamento del Def. Era settembre e sono passati 5 mesi: occorrono numeri freschi (tanto più dopo l’allarme della Corte dei conti su un possibile buco di 13,7 miliardi tra il 2017 e il 2020) in modo da individuare i margini di manovra finanziari per sostenere il fitto programma di riforme annunciato da Renzi.
Da questo punto di vista, il confronto con Cottarelli è molto importante. I 25 tavoli del gruppo di lavoro sulla spending review hanno ultimato il lavoro e sono pronte le proposte per tagliare e razionalizzare la spesa. Si parla di mobilità obbligatoria per gli statali, retribuzioni legate ai risultati per i dirigenti pubblici, robusta potatura delle 7 mila società partecipate locali e rafforzamento della Consip che si occupa dell’acquisto di beni e servizi. Ma viene suggerito anche un nuovo intervento sulla previdenza ad integrare la riforma Fornero del 2011. «Se tutti i 32 miliardi di risparmi attesi dalla spending review entro il 2016 fossero usati per il taglio del cuneo fiscale, su questo terreno in tre anni sarebbe superato il gap con gli altri paesi dell'euro», ha spiegato Cottarelli alcuni giorni fa.
L’EUROPA
Quanto ai rapporti con Bruxelles («Carlo sa che cosa deve essere fatto e che cosa no» lo ha subito omaggiato il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn), è presto per prevedere l’apertura di un negoziato vero e proprio per ottenere un allentamento dei vincoli per liberare risorse da dedicare alla crescita. Ma «senza la crescita la stabilità non basta», ha avvertito Padoan in più di una circostanza i precedenti governi»
Il governo giura tra bimbi e sorrisi. Poi Renzi avverte: ricreazione finita
Mai tanti piccoli a festeggiare i neo-ministri: 39, e uno in arrivo Alfano e il premier raccontano a Napolitano la notte della trattativa
ROMA Come ti trasformo il Palazzo del Quirinale, nel giorno del giuramento del governo Matteo, in un kinderheim e in uno spogliatoio da squadra di calcio. Mai visti tanti bambini lassù sul Colle. Dei tre di Renzi, due si perdono entrando nel cortile - Francesco e Emanuele, la piccola Ester resta affianco a mamma Agnese - e il fedelissimo del premier Luca Lotti li va a recuperare, dicendo scherzosamente: «Faccio il baby sitter». I figli di Alfano dovrebbero essere due, ma uno - racconta Lady Angelino - «s’è rifiutato di venire, aveva una partita di calcio importantissima». E via così tra bimbe e bimbi, nel governo più prolifico che ci sia: i 16 ministri hanno in tutto 39 figli (nove solo per il sottosegretario a Palazzo Chigi, Delrio, e tutti con la stessa moglie), più uno in arrivo. Visto che la Madia ha il pancione e il futuro Francesco - che si chiamerà come il primogenito di Renzi e come il pontefice - porterà a quota 40 i magnifici rampolli.
COMMISSARIO TECNICO
E lo spogliatoio? Batte il cinque Matteo. Pollice in sù. Stringe la mano ad Alfano e gli dice: «Sei un grande!». Senza l’ironia o il sarcasmo che conteneva il medesimo epiteto quando Letta lo rivolse a Berlusconi nell’aula del Senato. Renzi si muove nei saloni del Colle come un allenatore di calcio. Sembra il suo amico Cesare Prandelli. Se fosse per lui, canterebbe come Checco Zalone: «Siamo una squadra fortissimiiiii....». I Renzi junior e il pulcino di Alfano solidarizzano. Se i papà litigheranno, loro faranno da pontieri? Non c’è per ora aria di baruffa politica. Anzi, Alfano in questo che doveva essere il governo Renzi-Renzi dopo l’esecutivo Letta-Alfano, è sempre al centro della scena delle telecamere e dei clic (ma la raffica più spaventosa di scatti, tititititititititii....., parte alle spalle della Boschi quando s’inchina per firmare il giuramento), ed ecco Angelino nelle foto opportunity, eccolo con Napolitano: sembra essersi ripreso il ruolo di vice-premier che non ha più. Insieme a lui, Matteo racconta durante il cocktail nel salone degli Specchi - un po’ di tartine, spumante e non champagne e tre tipi di analcolici - al Capo dello Stato la notte dei lunghi coltelli in cui il governo stava per morire prima che fosse nato: «Lui non voleva cedere, io neppure, poi per paura che arrivasse l’alba ci siamo detti che dovevamo chiudere». Cin cin! La Boschi auto-ironizza: «Con questi tacchi così alti, non riesco a scendere le scale. Peggio che a Sanremo». Napolitano è sempre lui. Ma un po’ diverso. Se i governi precedenti erano stati i governi del presidente, questo è il governo del premier e Napolitano in questa occasione non ha l’atteggiamento del Lord Protettore. Lascia la scena a Renzi. Che se la prende. «Ragazzi, andiamo, ora c’è da lavorare», dice a fine giuramento Matteo. Ma Napolitano: «Calma, prima dobbiamo fare altre cose di rito». Lorenzin ha portato la nonna di 92 anni. Il neo-Guardasigilli, Orlando, viene accompagnato da mamma e papà, e Alfano li saluta calorosamente: «Ma voi siete i genitori? Complimenti per vostro figlio. Abbiamo molto insistito perchè si trovasse una soluzione per la Giustizia».
NO BICI
La demagogia di non presentarsi al giuramento a bordo dell’autoblù, che ebbe il suo picco massimo nel battesimo del governo Letta, stavolta viene evitata. Ed è un segnale di sicurezza, come per dire: il grillismo si può battere, anche non fingendo di usare il motorino o - peggio! - la bici. Basta fare le cose che servono ai cittadini. Ci riusciranno i nostri eroi? La Guidi e il collega Poletti, pur essendo emiliani, si abbracciano lungo le scale esprimendo una comune morale così traducibile in romanesco: «Areggeme che t’areggo». Ovvero: «Aiutiamoci a vicenda». Sennò? La sensazione di essere l’ultima chance di sopravvivenza della politica, e dopo può accadere qualsiasi cosa, sembrano avercela tutti. E l’ansia da prestazione il premier la esprime così: «Ora la ricreazione è finita». Chiude il kinderheim e, per l’esecutivo Matteo, comincia il Vietnam.