ROMA Una cura da cavallo per scardinare la macchina burocratica e tagliare gli sprechi. Da dosare sapientemente nei primi cento giorni per dare un segnale chiaro, invertire la tendenza e rompere definitivamente con il passato. Un mix di misure, tra spending review e lotta ai burosauri, cui hanno lavorato fino a tarda sera ieri a Palazzo Chigi il presidente Matteo Renzi insieme al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Un piano di risparmi da 2-5 miliardi che - spiegano da Palazzo Chigi - va realizzato senza tagli lineari. Più che alle forbici, si punta tutto sull’efficienza. Da qui la necessità di razionalizzazione adempimenti e procedure, insieme alla semplificazione di quella giunga di norme e regolamenti che soffocano imprese e cittadini. Una sfida difficile viste le esperienze non certo esaltanti del passato, ma sulla quale il premier, dopo i solenni impegni di queste ore («La lotta alla burocrazia è la madre di tutte le battaglie»), si gioca tanto.
Tra i punti fermi, messi nero su bianco nel vertice a Palazzo Chigi, c’è quello che riguarda il rapporto con la Pubblica amministrazione. Non saranno più le imprese e i cittadini a dover rincorrere, ma sarà la Pubblica amministrazione a mandare a casa milioni di dichiarazioni precompilate. Non solo per consentire di regolarizzare la posizione per le tasse locali, ma per consentirlo in tutte le aree in cui è possibile.
LA SVOLTA
Una rivoluzione che, il condizionale è d’obbligo, consentirebbe di risparmiare tempo e denaro. L’obiettivo, ovviamente ambizioso, è quello di replicare questo modello su una scala più ampia possibile. Dando certezze al mondo produttivo e sfruttando a pieno tutte le potenzialità offerte dalla rete e dal web. Nel piano Renzi c’è quindi la riduzione drastica dei tempi per ottenere le autorizzazioni. Prima tra tutte quelle per aprire un’attività commerciale o un capannone industriale. E’ assurdo - avrebbe spiegato ai suoi - che ci possano volere fino a 8 anni, come denunciato dalla Confindustria per avere il nulla osta all’ampliamento di uno stabilimento.
CABINA DI REGIA
Serve quindi un salto di qualità, anche per attrarre i capitali stranieri e rendere appetibile investire in Italia. Secondo quanto risulta al Messaggero, il premier vorrebbe insediare a Palazzo Chigi una task force per controllare da vicino la riforma. Dribblando o comunque tenendo sotto osservazione i poteri di veto dei capi di gabinetto e delle alte burocrazie ministeriali, veri «padroni» degli assetti normativi del Paese. Del resto l’ex premier Letta ha lasciato in eredità al nuovo governo ben 850 decreti attuativi da emanare, fermi nei cassetti ministeriali. Si pensa poi a «lavorare» sulle Provincie. Renzi sa bene che abolirle, come sottolinea Confindustria, consentirebbe di ottenere risparmi significativi. Sul tavolo del governo c’è anche la concessione dell'Aia (l’autorizzazione integrata ambientale), che in Italia necessita di più tempo per essere rilasciata rispetto agli altri Paesi, e, paradossalmente, dura di meno, oltre a essere diversa anche tra Regioni e province. Un vero labirinto in cui è davvero impossibile orientarsi.
NORME CERTE
A Palazzo Chigi sono convinti che senza certezza del diritto è impossibile ristabilire un rapporto corretto con gli investitori, interni ed internazionali, soprattutto in questo momento in cui l’Italia torna a godere di una certa credibilità sui mercati. Per questo bisogna cambiare una mentalità per certi aspetti consolidata e cambiare le regole.
Così come è urgente, ma qui il piano d’intervento è più complesso, una riforma del Titolo V della Costituzione, per ridefinire il perimetro dello Stato e delle competenze delle Regioni. La direzione di marcia è quella indicata dagli imprenditori che da sempre chiedono la fine del «federalismo della complicazione», che ha indebolito il governo centrale su fronti strategici come le infrastrutture e l'energia, moltiplicando invece norme e adempimenti in un processo di stratificazione che ha portato alla paralisi.