ROMA Alla fine non c’è stata nessuna fronda, o contrarietà o, peggio, voto in dissenso. «Il gruppo è compatto», annuncia in serata il capo dei senatori del Pd, Luigi Zanda. E in effetti così è andata: il gruppo dem ha votato compatto la fiducia al proprio segretario assurto alla guida del governo. «Anche se Renzi ha fatto di tutto per convincermi del contrario, abbiamo deciso di dire sì alla fiducia, altrimenti saremmo fuori dal partito», annunciava già in mattinata Pippo Civati, l’unico dissidente aperto rimasto nel Pd. «I civatiani hanno fatto pippa, anzi Pippo», celiava un renziano nel piccolo transatlantico di palazzo Madama. Ma non è stato un sentiero tutto in discesa. Tanti e diffusi sono stati i mugugni se non i dissensi seguiti al discorso del premier («ha fatto solo un elenco di cose»; «non ha indicato coperture finanziarie»; «un discorso più da sindaco che da premier», alcuni dei leit motiv critici più gettonati), ma tutto questo non ha portato al rompete le righe in aula, né a voti contrari.
MANI LIBERE
«Noi della minoranza votiamo la fiducia per avere poi le mani libere», l’annuncio battagliero di Corradino Mineo, uno dei dissidenti civatiani che non intende demordere. Mani libere in che senso? «Nel senso che votare no alla fiducia ci porrebbe fuori, ma dopo, in corso d’opera, potremo presentare proposte e odg sulla legge elettorale o sulla giustizia o sul conflitto d’interessi e lui, Renzi, che fa, ci caccia?», chiede assai poco retoricamente Mineo rievocando la famosa sfida di finiana memoria. E’ stato all’assemblea del gruppo dem della mattinata, che mugugni e dissensi, annunciati o meno, si sono manifestati. Critiche di varia natura. Mario Tronti ha tracciato un identikit parapsicologico di Renzi, «è troppo spavaldo, corre troppo, così non va». Altri si sono rammaricati per il modo come è stato sostituito Enrico Letta. Altri ancora, tra i quali Walter Tocci, hanno contestato la scarsa attenzione dedicata a Vendola («Renzi ha sbagliato a sottovalutare il congresso di Sel, non andandoci e inviando un suo sostituto»), in realtà hanno criticato l’apertura al centro e la perdurante attenzione a Ncd a scapito di una eventuale, e per un po’ accarezzata, apertura a sinistra.
LA DOMANDA
«Ma perché, con Letta era diverso?», hanno avuto gioco a ribattere i pochi renziani del gruppo, una decina. Tra i più convinti a sostenere il premier, sono i giovani turchi. «Il Pd deve essere unito attorno al tentativo del segretario, dopo non c’è altro, c’è solo il caos, dobbiamo tutti remare dalla stessa parte», ha perorato Francesco Verducci. La conclusione è che il dissenso esplicito in casa dem è rientrato, così come quello dei Popolari, ma Renzi ha al Senato una maggioranza più risicata (169 contro 173) di quella avuta a suo tempo da Letta (dopo la spaccatura tra Berlusconi e Alfano). All’appello mancano alcuni degli autonomisti del Gal. In futuro? Non si sa. Quel che si è capito, è che Renzi conta di bypassare ogni futuro e prevedibile dissenso ricorrendo a tre cerchi, a tre maggioranze, «qui siamo oltre i due forni andreottiani, qui i forni sono diventati tre», confermava Tocci prima di andare a votare la fiducia. Il premier ex sindaco, in sostanza, pensa di contare sulla maggioranza politica data, poi su quella con Berlusconi per le riforme, e non fa mistero di tenersi in serbo anche un terzo cerchio, quello con grillini dissidenti e vendoliani.