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Data: 26/02/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
Renzi ha la fiducia «Non ci faremo dettare la linea dall’Europa»

Camera, il governo passa con 378 sì e 220 contrari. «È la nostra unica chance». Alta tensione con M5S e per i dissensi nel Pd

ROMA Il governo Renzi ha ottenuto ieri il via libera alla Camera con 378 sì, 220 no e un astenuto. Un voto in meno di quanto ne ottenne Enrico Letta nell’aprile dello scorso anno. E non è l’unico confronto di una giornata in cui l’ex premier e l’ex segretario Pd Bersani hanno rubato la scena al nuovo presidente del consiglio, accolti entrambi dagli applausi dell’Aula. Poco meno di un’ovazione.
COMPROMESSO STORICO
Tra una votazione e l’altra Renzi ha imparato la lezione. Non mette più la mano in tasca, è meno guascone. Sceglie un profilo più istituzionale per chiedere la fiducia a Montecitorio. Il risultato ieri non era in discussione. Mostra meno verve, meno grinta, si ripropone come il sindaco d’Italia che dà del «voi» agli «onorevoli deputati» mettendo distanza tra sé e il «Palazzo». Evoca il suo Pantheon da compromesso storico, Aldo Moro, Enrico Berliguer e Oscar Luigi Scalfaro. E dice «noi» quando invita tutti, «nessuno escluso», a rimboccarsi le maniche.
Una lunga parte del suo discorso è rivolta all’Europa. «L’Italia è il Paese che l’ha costruita non quello che l’ha subita - è la sua premessa - non ci faremo dettare la linea». In questa direzione andrà il semestre di presidenza Ue « punto di arrivo e di partenza». Ancora Renzi: «Non possiamo arrivare in Europa con la stessa piattaforma di problemi che abbiamo da anni, il mondo corre il doppio rispetto all’Europa e l’Italia che all’interno dell’Europa fa fatica».
LA SORPRESA

Nella sua versione più composta e ingessata Matteo Renzi perde qualcosa. È innaturale. A un certo punto perde anche il filo L’idea era rispettare il solito canovaccio. Parlare a braccio orientandosi tra i soliti scarabocchi scritti su un foglio. Per l’esattezza elencare «in tre tweet» le cose da fare. Senonché il tentativo di stupire con gli effetti speciali l’Assemblea risulta meno efficace di altre volte. Per i battibecchi con i grillini, Ai quali dice: «La democrazia interna è positiva, quando persi le primarie del Pd loro mica mi hanno espulso». Per la freddezza di Letta che gli sfila davanti per raggiungere Bersani e non applaude neanche quando lui cita Giorgio La Pira, punto di riferimento dei cattolici toscani.
L’ex premier e Bersani si erano sentiti e avevano concordato di assistere insieme dai banchi di Montecitorio all’intervento.
Matteo Renzi è sorpreso. Non ne sapeva nulla. Vorrebbe ostentare sicurezza. È disorientato. Per la prima volta da quando ha messo piede nel Transatlantico Renzi non è al centro dell’attenzione. Gli applausi più fragorosi sono per i suoi predecessori non per lui. «Abbiamo una sola chance da cogliere qui e adesso - dice - l'ultima occasione offerta dai segnali di ripresa per fare l'unica cosa che possiamo fare: cambiare profondamente il nostro Paese, il sistema della P.A., quello della giustizia, del fisco, cambiare profondamente nella concretezza la vita quotidiana di lavoratori e imprenditori».
LE CRITICHE

Le critiche dell’opposizione ruotano intorno a uno stesso concetto. Il contrasto tra le aspettative che ha creato e le poche risorse. I 5 Stelle alla fine voteranno no, così come Forza Italia. Il dissidente pd Pippo Civati si dice deluso dal discorso del premier, che definisce «allucinante» ma conferma il suo voto anche se polemico: «Sognavo anche io che la nostra generazione arrivasse fin qui. Ma con le elezioni e non con una manovra di Palazzo». Non è il solo a storcere il naso. «Ho espresso il mio voto di fiducia al governo esclusivamente per disciplina di partito e di gruppo», ammette ad esempio, il lettiano Marco Meloni. I Popolarì assicurano la fiducia. E avvertono: «La velocità è necessaria anche in politica ma non è inutile mentre si corre sapere dove si va».

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