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Data: 27/02/2014
Testata giornalistica: Il Tempo d'Abruzzo
Dopo Chiodi tocca a Dalfy. Riecco l’ombra dell’Appello. In 140 pagine le accuse a D’Alfonso Per il pm Varone è colpevole

Si avvicinano le elezioni e anche la stampa nazionale comincia a interessarsi in maniera più puntuale alle vicende abruzzesi. E a favorire questa situazione, non lo si può negare, sia il presidente della Regione uscente Gianni Chiodi, che il principale candidato alle primarie del Pd, Luciano D’Alfonso, ci mettono del proprio. L’ultimo, in ordine di tempo, a dedicare la prima pagina alle vicende abruzzesi è stato ieri mattina «Il fatto Quotidiano», che allle vicende giudiziarie di Luciano D’Alfonso ha dedicato una pagina intera e un richiamo in prima.

Riecco l’ombra dell’Appello. In 140 pagine le accuse a D’Alfonso Per il pm Varone è colpevole

PESCARA «Non si può confidare di restare esenti da responsabilità soltanto per aver delegato altri a svolgere il "lavoro sporco". L’ottenimento di denaro dall’imprenditore presuppone che quest’ultimo sappia, con certezza, che il suo interlocutore sia fornito di potere decisionale nel settore in cui ricadono i propri interessi e possa, pertanto, influirvi in modo determinante». Parla così il pubblico ministero Gennaro Varone nelle 140 pagine con cui ha ricostruito l'appello contro l’assoluzione di Luciano D’Alfonso, già sindaco di Pescara e ora candidato in pectore alla presidenza della Regione Abruzzo.Il processo Housework, in primo grado, ha segnato un punto importante a favore del leader del Pd. Il lavoro di D’Alfonso, appoggiato dal suo fido collaboratore, a 360 gradi, Guido Dezio secondo Varone non poteva essere così trasparente da non far emergere alcuna ipotesi di reato. Parole, tante, che dovranno costituire fondamento di un appello che rischia di minare la già fragile campagna elettorale per la corsa all’Emiciclo.

Se da una parte il centrodestra si trova a dover sostenere il presidente uscente, Gianni Chiodi, che in queste settimane più che per la spending review, il rientro della spesa sanitaria, viene ricordato per le sue scappatelle amorose, dall’altra il Pd deve fare muro per rivestire d’incenso Luciano D’Alfonso, uno dei pochi uomini che è riuscito a vivere, come ha cercato di dimostrare Varone, senza intaccare i suoi risparmi, mettendo soldi in banca, e vivendo con gli spiccioli, contanti, quelli che erano nel suo portafoglio e di cui doveva, e dovrà ancora una volta, dimostrare la lecita provenienza.

Campagne elettorali intrise di spazi che poco hanno a che fare con la politica al servizio dei cittadini, che rischiano ancor più di allontanare gli elettori dalle urne. E Varone è chiaro sullo stile di vita di D’Alfonso: «È compatibile soltanto con l’esistenza di entrate extra contabili, considerazione che fornisce riscontro all’accusa di corruzione elevata». E nello specifico la Procura mette in evidenza questo stile di vita. «Insomma, D’Alfonso Luciano, genitori e fratello versano a getto continuo denaro sui propri rapporti bancari dimostrando una disponibilità di denaro enormemente superiore a quella consentita dalle fonti di reddito apparente; e non prelevano che per spese straordinarie. Le esigenze familiari e personali quotidiane (sia quelle di D’Alfonso; sia quelle dei genitori), delle quali ognuno di noi può rendersi conto a fine mese, sono coperte con altri proventi». La conclusione di Varone è per lui evidente: «Chi scrive crede che anche il più ingenuo dei lettori capirebbe essersi di fronte ad entrate illecite».

La procura cerca quindi di ricostruire l’impianto accusatorio che la sentenza di primo grado ha di fatto demolito, ripercorrendo la vita di D’Alfonso e il suo modo di porsi di fronte a amici, conoscenti, imprenditori e gente che si affacciava negli uffici comunali. Stranezze, coincidenze, incontri occasionali, amici che curano la sua posizione. Anche fino ad aiutarlo a costruire case. «D’altro canto il D’Alfonso - si legge nel voluminoso ricorso in appello - nel volgere di tre anni, ha costruito una villa di importante valore economico; ha acquistato una casa in zona pregiata della città, ha acquistato un autoveicolo lussuoso, ha mantenuto l’abitazione di Francavilla al mare. Le uscite conseguenti al tenore di vita, che tali investimenti e possedimenti attestano e impongono, appaiono del tutto sproporzionate alle entrate dichiarate».

Una delle accuse più pesanti che coinvolgono D’Alfonso riguarda la gestione dei parcheggi nell’ex area di risulta, vicino alla stazione ferroviaria di Pescara. Una vicenda ce coinvolge Carlo e Alfonso Toto che vengono inseriti in un quadro probatorio «delineato dalle indagini», dove si mettono in parallelo da una parte «le elargizioni di utilità che hanno concesso al D’Alfonso, mettendogli a disposizione un dipendente personale (stipendiato e munito di vettura prestigiosa)»; dall’altra l’adozione «di atti amministrativi che hanno portato la Toto spa all’aggiudicazione della concessione della gestione dei parcheggi a raso nell’area di risulta». Un parallelismo che va inquadrato «nella fattispecie della corruzione propria». Un esempio dei tanti che il pm traccia nel suo ricorso. Passaggi che vedono molto spesso coinvolto in prima persona Guido Dezio, nominato ufficialmente, con la costituzione il 13 gennaio 2003 del Gabinetto del sindaco, coordinatore della segreteria particolare di D’Alfonso. Il 22 novembre 2004 D’Alfonso vengono conferite a Dezio le funzioni di dirigente, «con provvedimento che costerà al D’Alfonso una condanna per abuso d’ufficio» per aver omesso il concorso. Nel 2005 Dezio viene nominato dirigente del settore Provveditorato ed economato, prima per sei mesi e poi prorogato. Dezio vincerà quindi due concorsi.

Coincidenze, capacità amministrative. Sicuramente la forza di una coppia che insieme ha saputo gestire diverse situazioni. Situazioni che per il Pm Varone sono illecite, che fanno emergere situazioni di corruzione, di truffa. Situazioni che caratterizzeranno questa campagna elettorale e che non fanno sicuramente bene agli abruzzesi.

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