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Data: 27/02/2014
Testata giornalistica: Il Messaggero
M5S, il giorno della scissione una ventina pronti a lasciare. Grillo ordina l’espulsione dei dissidenti, il web ratifica. Dieci senatori e 6 deputati si dimettono: «Sono peggio dei fascisti». Allarme europee: restano i fedelissimi, l’ala sinistra stavolta rompe davvero

ROMA Tenuta a freno, esorcizzata, ma in realtà solo rinviata di qualche mese, la spaccatura del Movimento 5 Stelle è precipitata ieri, facendo balenare la possibilità della scissione di una ventina di parlamentari tra Senato e Camera. Casus belli l’espulsione di quattro senatori rei di aver criticato la scelta di Grillo di non voler prendere parte alle consultazioni che hanno portato alla formazione del governo Renzi. Decretata prima da una rovente riunione dell’assemblea congiunta dei gruppi di palazzo Madama e Montecitorio tenutasi martedì, la cacciata dei senatori Battista, Orellana, Campanella e Bocchino è stata ratificata sul web dal voto di quasi 30 mila iscritti, che hanno risposto al pressante invito del guru genovese a confermare la decisione dei gruppi, mentre in 13.485 hanno opposto il loro no al provvedimento repressivo.
Grillo aveva previsto che con la conferma del verdetto dell’assemblea «saremo un pochino meno, ma molto, molto più coesi e forti». Seguiva l’accusa che a muovere gli scissionisti era l’inconfessata prospettiva di un inciucio con la maggioranza e di tenersi «l’intero stipendio di parlamentare: 20.000 euro al mese fanno comodo». «Bugiardo», è stata la replica di Luis Orellana, a nome di tutta la pattuglia dei dissidenti. Ma il punto debole della previsione del leader pentastellato è apparso quello sulla coesione del movimento: una serie di concitate e dense di insulti riunioni dei senatori del M5S hanno mostrato la fotografia di un inarginabile smottamento tra le file dei parlamentari grillini. Al Senato erano subito in sei a dichiarare di volersi dimettere aggiungendosi ai quattro colleghi espulsi. Cinque, invece i deputati che, collegandosi ad Alessio Tacconi certamente sulla via dell’abbandono, stanno valutando se far seguire a quelle di Tacconi le loro dimissioni dal gruppo o dalla Camera.
DIMISSIONI COMPLICATE
E’ noto, d’altra parte, che le dimissioni dalle Camere non sono un fatto automatico, perché devono essere votate dalla maggioranza dell’assemblea. E quasi mai vengono concesse al primo voto, essendoci stati casi, come quello del senatore Nicola Rossi del Pd, di chi se l’è viste respingere per quattro volte consecutive. Oggi, inoltre, un gruppo parlamentare di ex pentastellati al Senato - i numeri ci sarebbero sommandosi anche ai tre grillini fuorusciti nei mesi scorsi - potrebbe giocare un ruolo importante negli equilibri di maggioranza a palazzo Madama. Quello che però sembra certo è che la frattura in atto non appare più sanabile dopo gli insulti e i pianti corsi nelle riunioni di ieri. «Opportunisti e venduti», tuonavano i pasdaran di Grillo all’indirizzo dei dissidenti, accompagnando le valutazioni ”politiche“ a epiteti definiti «irripetibili» nei confronti di alcune colleghe senatrici. Una delle quali, Alessandra Bencini, è stata vista abbandonare in lacrime una riunione gridando: «Basta! Voglio lasciare questo Senato e tornarmene a casa». La controparte ribatteva con invettive del tipo: «Siete peggio dei fascisti». E c’era anche chi, in sovrapprezzo - nella fattispecie il senatore Giarrusso - accusava la presidenza del gruppo di aver falsificato la sua firma mai apposta in calce a una mozione di sfiducia del M5S contro ministri in carica.

Allarme europee: restano i fedelissimi
l’ala sinistra stavolta rompe davvero

ROMA La prima reazione è un senso di paura, il timore che il web che li ha creati li distrugga. Una forma di stalking che ha già colpito chi ho già lasciato il Movimento: Adele Gambaro che osò criticare Grillo in tv. Paolo De Pin, minacciata sui social network, mobbizzata a Palazzo Madama dai suoi stessi ex colleghi. Marino Mastrangeli la cui colpa è aver partecipato al talk show di Barbara D’Urso. «Per capire quel che ti succede devi entrare nella mentalità dell’alveare, studiarli a fondo, intuirne i travisamenti, le rigidità», si sfogava la De Pin, in lacrime e sull’orlo di una crisi di nervi in quelli che ancora oggi considera i giorni dell’abbandono. Lorenzo Battista ne sa qualcosa. È stato tra i primi a sperimentare di persona il metodo-Casaleggio. «Ti lavorano ai fianchi sul territorio, ti sfiduciano tra i tuoi elettori, mobilitano i Meet up per metterti all’angolo». Al senatore triestino, uno che a Casaleggio gliel’ha sempre cantate, hanno iniziato a prenderlo di mira facendogli terra bruciata intorno sin dai primi giorni, «non mi hanno mai perdonato di aver votato Grasso e non Schifani alla presidenza del Senato», dice.
L’ALTRO M5S

Ora che la falla si è aperta esce il primo drappello di dieci senatori e 6 deputati. Andranno ad aggiungersi ai fuoriusciti della prima ora. Ma l’emorragia non si finirà qui. «Ne usciranno altri, vedrete - scommette un senatore che per il momento vuole restare in campo neutro - fino a formare un movimento anti-movimento che cambierà la geografia parlamentare e i connotati stessi dei grillini. Giarrusso, Cotti, Pepe, Serra, Fuksia, Fattori, Buccarella, Cioffi. L’elenco dei prossimi dissidenti è già pronto. Cacciata via la componente che strizzava l’occhio a Civati, che lusingava Rodotà e la Gabanelli, resteranno i duri e puri, i pasdaran: Di Battista, Di Stefano, Nuti, Crimi, Santangelo, Taverna, Bottici, Lezzi, Martelli, Morra. Mai come questa volta però l’implosione del gruppo parlamentare riflette le divisione della base. In Sicilia Campanella e Bocchino potrebbero guidare la diaspora. Sonia Alfano è già al lavoro. Mentre da Parma è già arrivato lo «sgomento» e la solidarietà agli epurati del sindaco Pizzarotti. «Che tristezza rivoglio il mio sogno», scrive su Facebook la vice sindaco Nicoletta Paci
MEET UP DIVISI

I contrasti che in Sardegna hanno obbligato Casaleggio a scegliere di non partecipare alle elezioni regionali si stanno verificando anche per le Europee. La moltiplicazione delle liste autocertificate, i dissidi interni, le rivalità stanno diventando una valanga difficile da arginare. C’è il rischio di disperdere anche quel che resta della spinta propulsiva che il Movimento ebbe contro la casta e le degenerazioni della politica. «Cosa faremo? Per ora ci dimetteremo e spiegheremo ai nostri elettori chi è che finora ha detto le bugie», si indigna Battista che deciderà se querelare Grillo: «Quando dice che lo facciamo per i soldi e ci infanga, le mie spese sono documentate». Luis Alberto Orellana è uno dei pochi grillini che ha i capelli bianchi. All’inizio i suoi colleghi lo tenevano in grande considerazione. Era il saggio. Lo candidarono per fare il presidente del Senato. Ma bastò una mezza apertura dialogante per catapultarlo sullo lista nera. Un dipendente della Casaleggio associati ha guidato nel Meet-Up di Pavia la sommossa finché Orellana è stato messo all’angolo e paragonato a Scilipoti.il primo passo sarà dimettersi. Sono obbligati a farlo. Lo prevede il regolamento che hanno sottoscritto. Nel frattempo continuerà la campagna per denigrarli e metterli alla gogna».
MESSINSCENA

Nella migliore tradizione grillina il senatore campano Sergio Puglia, considerato un talebano, evita i giornalisti. Ieri era più loquace del solito. «Si dimettono?», chiedeva notizie in una pausa alla buvette. «Sì ma vedrete che verranno respinte e resteranno a Palazzo Madama. Vogliamo scommettere? É tutta una messa in scena, hanno già fatto l’accordo col Pd».

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