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Pescara, 24/11/2024
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28/02/2014
Il Centro
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D’Alfonso, candidato alle primarie, ripercorre la sua vicenda giudiziaria e promette di rivoluzionare la Regione «La mia vita al setaccio e mai un’ombra» |
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PESCARA Doveva essere a Giulianova, impegnato in una delle sue «dinamiche e accoglienti» tappe elettorali. Invece gli tocca di nuovo dire e spiegare, dopo la paginata di mercoledì del Fatto quotidiano, perché da sei anni è un frequentatore assiduo degli uffici giudiziari. Luciano D’Alfonso sceglie una saletta dell’Hotel Duca d’Aosta, non perché sia un «appassionato alberghiero» (e il pensiero corre subito ad altre vicende), ma per comodità logistica, e perché, dice scavando nella memoria, «al Duca d’Aosta è legata la prima qualifica assunta in atti giudiziari: una relazione di 900 pagine dal titolo “L’incantatore di serpenti”». L’incantatore naturalmente è lui, i serpenti, quella volta, erano i socialisti pescaresi, ai quali D’Alfonso, in una riunione tenuta nelle salette dell’hotel, fece un discorso di sei ore per convincerli a non intitolare una strada a Craxi ma a fare con quei soldi un convegno sul riformismo. La riunione fu registrata («in memoria remota» dice D’Alfonso) e sbobinata. Da lì partì la qualifica di “Incantatore di serpenti”. L’aneddoto gli serve per dimostrare un fatto: «Nella mia vita», spiega il candidato del Pd alle primarie di coalizione per la Regione, «ho conosciuto attività di accertamento su ogni nodo della mia vita pubblica e privata». Per questo oggi D’Alfonso non accetta che un processo da cui è stato assolto («quando c’è una sentenza questa è dichiarativa») diventi sulla stampa nazionale il pretesto per indicarlo incandidabile alla Regione: «Saranno i cittadini con il loro voto a decidere, non una lettura pornografica e da orda barbarica di atti giudiziari». «Da nove procedimenti sono uscito assolto o prosciolto (vedi tabella fornita dallo stesso D’Alfonso, ndr.), mi rimane una contestazione per il processo Mare-Monti, dove mi si contesta un falso a proposito di una perizia di variante, ma la veste giuridica di questa accusa è pari a zero». L’ex sindaco e candidato alla Regione lo dice col conforto dei suoi avvocati, ma anche dei suoi correnti studi di giurisprudenza (e sarebbe la terza laurea). Naturalmente c’è l’appello del processo Housework (per capirci: area di risulta della ferrovia, Toto, lavori alla villa di famiglia) «ma immaginatevi se l’accusa avesse rinunciato all’appello davanti a un processo di quella fatta» dice D’Alfonso, che tesse elogi al pm Gennaro Varone («inattaccabile dal punto di vista della imparzialità»). E non per piaggeria, fa capire, ma per disposizione mentale: «Sono un liberal-democratico, ho sempre collaborato con le autorità competenti, mai scansando dalle mie responsabilità». Certo, però, «in qualche caso si poteva evitare un eccesso di lavoro da parte dei magistrati». Bastava una lettura «col giusto tempo» delle carte, oppure «un’azione dialogica bonaria». E qui D’Alfonso riprende da capo la sua tesi sul «fare» del politico che non deve essere un tirare a campare e sull’inevitabilità del sottoporsi ai controlli: «Non avere accertamenti è facile se non si è fatto nulla». E quanto avrebbe potuto fare ancora per Pescara, si rammarica, se a dicembre 2008 non lo avessero interrotto: «I pescaresi non avrebbero avuto un porto invalidato, avremmo collaborato con L’Aquila per la ricostruzione, ci sarebbe un piano di sviluppo dell’aeroporto e un diverso rapporto con le Ferrovie. Ma scriverò un libro su questo episodio. Mi farò aiutare da qualche figura in pensione della magistratura, per ricostruire cosa successe nel dicembre 2008 quando risposi alle domande del gip e ci fu un andirivieni di fogli di carta...». Ma ora c’è da pensare alla campagna elettorale. D’Alfonso è in ferie dal suo lavoro all’Anas e da domani sarà in aspettativa. A chi gli fa in conti in tasca risponde che va in giro con un camion «di un concittadino di Lettomanoppello che non ha mai vinto un contratto con il Comune nè con l’Anas. L’autista è suo nipote», ambedue, dice D’Alfonso, esempi di quella «cultura del dono» che era di casa nella società contadina. «Di benzina spenderò 3-4mila euro e farò un elenco dettagliato di tutti quelli che mi aiuteranno. Alcuni di loro li rivedrete accanto a me». Ci sarà un conto corrente per raccogliere i fondi («anche un prete si è offerto di aiutarmi»), e tutto sarà reso pubblico: «L’aiuto economico è una forma alta di consenso», riflette e poi insiste: «Il problema non è l’aiuto dall’economia privata, ma l’uso del potere che si fa». E quale uso ne farà D’Alfonso? «Questa regione sarà messa alla stanga» promette il candidato governatore, che annuncia anche una stagione di «pacificazione istituzionale». Non dovrà in fondo sforzarsi troppo, perché, dice, «non esiste risentimento nel mio vocabolario: è tutto laicizzato».
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