PESCARA Coriaceo, battagliero e allo stesso tempo elegantemente elusivo. Luciano D’Alfonso è stato colpito nel vivo, dalle inchieste giornalistiche degli ultimi giorni, che hanno fatto tornare di attualità le incongruenze e le ambiguità contenute nelle tesi difensive dell’ex sindaco di Pescara. Niente di nuovo, per carità. Nei mesi scorsi, si era abbondantemente parlato di quanto emerso nel corso del processo Housework, dal sistematico ricorso al danaro contante, anche per spese ingenti, al conto bancario pressoché inutilizzato, passando per il sostegno economico ricevuto da familiari e conoscenti. «Si tratta di ricostruzioni pornografiche, da orda barbarica, che vengono rispolverate a novanta giorni dal voto – ribatte a muso duro Big Luciano – Il mio avvocato, Giuliano Milia, mi aveva sconsigliato di replicare, e se lo faccio, è soltanto perché sono stato spinto da persone che tengo in alta considerazione, ovvero i miei figli». La mette sul sentimentale, Luciano D’Alfonso. Prima di chiamare in causa le creature che gli sono più care, compie una lunga pausa, che denota sofferenza. Ricorda «il dolore patito nel corso dei vari procedimenti giudiziari», blandisce «la libera stampa, che ha sempre regione e che recita un ruolo fondamentale per la democrazia», ma intanto minaccia querele. «Sono pronto ad organizzare una provvista finanziaria – annuncia – che sarà rimpinguata con le risorse che otterrò da chiunque si permetta di ledere la mia immagine personale». Rivendica con forza di essersi sottoposto all’esame della giustizia e di esserne uscito immacolato: «Sono stato assolto o prosciolto nove volte e sei delibere della Corte dei Conti non hanno riscontrato alcuna irregolarità negli atti relativi ai duemila giorni in cui sono stato al governo della città di Pescara». E snocciola l’elenco: assolto nei processi Housework ed Ecosfera, in quello per il concorso Dezio e in quello per il trasferimento di Maria Pia De Simone. Prosciolto per le vicende relative all’urbanistica, alla realizzazione del Wine Glass di Toyo Ito e alla cessione della Pescara Calcio. Prosciolto anche dalle accuse di violenza, innescate da una denuncia dell’ex senatore Pastore e da quelle riguardanti un presunto coinvolgimento nell’omicidio Pagliari. Resta in piedi il processo Maremonti. «Anche in questo caso – spiega il principale candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione - attendo con serenità il giudizio del Tribunale, confortato dal parere dei miei legali». Quando, però, si parla di conti bancari, di modalità di spesa singolari e del sostegno economico di parenti ed amici, D’Alfonso evita di entrare nel merito. «Ho fatto una deposizione in tribunale di nove ore – taglia corto l’ex sindaco di Pescara – Ritengo legittimo che il pubblico ministero abbia difeso il suo lavoro e la mia fortuna è stata proprio quella di avere un pm solerte, tenace, imparziale e inattaccabile». Una carezza a Gennaro Varone, che subito si trasforma in una velenosa punzecchiatura al governatore uscente Gianni Chiodi. «Sono certo che il pm che si è occupato di me non si sia mai distratto e non abbia mai frequentato alberghi che abbiano potuto distoglierlo dal proprio compito – è l’affondo di D’Alfonso, che compie un chiaro riferimento alla "rimborsopoli” abruzzese – Voglio precisare, però, che la questione degli alberghi mi interessa soltanto nel momento in cui ruba del tempo alla funzione istituzionale». Assicura di essere pronto a fare ulteriore chiarezza, sulle proprie vicende giudiziarie, ma soltanto in futuro. «Ho passato sei anni a studiare le carte e sto prendendo anche una laurea in Giurisprudenza – ricorda D’Alfonso – Scriverò un libro, nel quale ricostruirò i vari passaggi delle esperienze che ho vissuto, facendomi aiutare dal professor Fiandaca e da alcuni magistrati in pensione». Nell’immediato, garantisce trasparenza assoluta: «Pubblicherò l’elenco dettagliato di tutti coloro che mi sosterranno economicamente in questa bellissima campagna elettorale».
«Ha vissuto con i soldi della zia? È ridicolo»
PESCARA Varone è bravo e capace, racconta Luciano D’Alfonso nella sua conferenza stampa. Ma nelle pagine con cui il pm si appella all’assoluzione in primo grado dell’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso nell’ambito del processo Housework, sottolinea che «tutto il processo gronda di richieste e dazioni di denaro ; di torbidità delle condotte amministrative e soprattutto di deliberata opacità di quelle personali: che il pubblico ministero ha evidenziato non (come ha fatto comodo alla difesa sostenere) per censura morale, ma perché esse sono spiegabili soltato con la necessità di occultare fondi illeciti». E Varone queste ultime parole le scrive in neretto. «Eppure il Tribunale valuta la complessa trama della vicenda come se possa ritenersi davvero ordinario e, dunque, privo di significato processuale che un sindaco si rechi in banca a versare mazzette di banconote per migliaia e migliaia di euro; che un sindaco esegua acquisti in contanti per decine di migliaia di euro senza alcun prelievo da rapporto bancario, proprio o dei propri familiari: che un sindaco asserisca, senza batter ciglio, che vacanze costose gli siano state interamente pagate, per sè e per i famigliari, da un facoltoso imprenditore (Toto Carlo, che si appresta a partecipare - vincitore - ad uno dei più importanti appalti della città), tanto da partire con moglie e tre figli, senza prelevare dai propri conti correnti neppure un euro; che l’impreditore, prossimo a diventare padrone dei cimiteri cittadini, metta mano al carnet di assegni e paghi - di tasca sua - la ristrutturazione dell’abitazione principale del D’Alfoso, allepoca primo cittadino».
L’atto di accusa in appello del pubblico ministero punta molto sul giro di soldi utilizzati da Luciano D’Alfonso. «Il Tribunale omette di considerare che il D’Alfonso abbia disposto di grandi quantità di contante in tutti gli anni delle sue sindacature, ulteriori rispetto a quelle derivanti dalle smobilizzazioni di titoli, tutte utilizzate per spese di grande rilievo». Dopo aver analizzato i diversi conti corrente di D’Alfonso, della sua famiglia e dei suoi genitori il pm fa conclusioni precise sul fatto che si è «di fronte a entrate illecite».
Varone cerca anche di abbattere l’ipotesi che sarebbero stati i soldi di una zia a garantire questi flussi. «Quanto alla spiegazione, su cui l’imputato e i suoi difensori hanno a lungo insistito nel corso del dibattimento, che esso D’Alfonso avrebbe vissuto con denaro della zia (a parte chiedersi come abbia vissuto la... zia), si tratta di un argomento talmente ridicolo da non meritare alcun commento. A tacer d’altro, discutiamo di centinaia di migliaia di euro, dei quali nessuno dei famigliari disponeva». Ma Varone è «solerte, tenace, imparziale e inattaccabile». Parola di D’Alfonso.